m***@gmail.com
2013-09-25 12:07:57 UTC
Riprendo una constatazione che è ormai un dato acquisito dalla stragrande maggioranza dei linguisti che avevo già accennato in qualche discussione fa ma che secondo me andrebbe approfondita bene e considerata molto di più soprattutto nelle attuali scuole superiori dove è vistosamente e clamorosamente ignorato.
Mi riferisco al fatto inequivocabile che le lingue prima di tutto non sono lingue scritte (non importa se a mano, a stampa, su web...) o più genericamente registrate (dischi, filmati, tv e simili) ma sono prima di tutto indiscutibilmente parlate. Ogni scrittura e registrazione è un'invenzione successiva, che si può certo considerare un'invenzione lodevole, ma è pur comunque qualcosa che sia dal punto di vista storico che dal punto di vista logico è secondario rispetto alla lingua parlata (i linguisti se ne sono accorti da tempo, finendo a non considerare più come errore ad esempio il "lui" in posizione di soggetto). Di conseguenza si deduce che è del tutto scorretto ritenere che la lingua presente nei documenti scritti debba essere il "modello" per insegnare quella lingua "tout court" e ancor di più ritenere che un particolare sottoinsieme della lingua scritta debba essere scelto per insegnarla.
Pare a questo punto evidente constatare che il sottoinsieme della lingua presente nelle opere letterarie sia probabilmente il prodotto linguistico più derivato e meno primario che si possa immaginare (non mi risulta siano mai esistite popolazioni in cui le prime frasi dei neonati o le frasi dei commercianti per promuovere i loro prodotti avessero la metrica dei trimetri giambici o degli endecasillabi in terza rima, né che la loro struttura fosse paragonabile all'incipit de "La roba" di Verga).
Di fatto io ho sempre stentato a comprendere come mai nel triennio finale di TUTTE le scuole superiori italiane il tempo dedicato a studiare la letteratura debba di fatto quasi togliere spazio a quello dedicato a studiare la lingua e tutte le attività ad essa legate finendo quasi per dire che è più importante studiare la letteratura, che tanto verrà da sé studiare la lingua (che non vuol dire sapere un italiano elementare per chiedere un caffè al bar o avere informazioni su dove trovare l'ufficio postale più vicino).
Dovrebbe essere quindi compreso da tutti che è totalmente scorretto ritenere che l'insegnamento delle opere letterarie abbia come fine insegnare "la lingua italiana" nella sua totalità, di fatto in questo modo si impara a compiere soltanto certe operazioni (e non tutte quelle possibili che si possono compiere su materiali letterari) legate solo ad alcuni aspetti della lingua italiana... presenti solo nelle opere letterarie, ovvero un sottoinsieme estremamente piccolo e per nulla rappresentativo delle caratteristiche presenti negli usi non soltanto scritti in lingua italiana presenti in articoli di giornale, in saggi argomentativi, in guide turistiche, in telecronache sportive, in manuali di cucina, in arringhe giudiziarie, in annunci pubblicitari, in discorsi politici e in tantissimi altri utilizzi della lingua che inevitabilmente sono assenti nei testi letterari, fin troppo egemoni negli ultimi tre anni delle scuole superiori italiane attuali.
Avevo scritto peraltro già altre volte come nelle scuole gli insegnanti debbano aver compreso che si debba non enfatizzare troppo l'insegnamento della letteratura dentro l'insegnamento della lingua, per lo stesso motivo per cui l'insegnamento di storia dell'arte non dovrebbe essere eccessivamente enfatizzato all'interno di un insegnamento dedicato ai linguaggi visivi (i quali comprendono disegno tecnico, fotografia, grafica, fumetti, tipografia, design, cartografia e simili). Come già detto in quell'occasione, ripeto quindi che mi sembra che debba essere una conseguenza logica il ritenere che l'insegnamento della letteratura debba avere maggiore spazio ed enfasi in scuole in cui le materie umanistiche e letterarie dovrebbero essere al centro, ovvero i licei classici e linguistici, mentre si potrebbe tranquillamente dare meno spazio alla letteratura (ma non alla lingua italiana) negli altri tipi di licei e di scuola, ovvero giustamente trattata accanto alle altre forme importanti di comunicazione verbale nelle ore di italiano e ciò non per fare un torto alla letteratura ma anzi per dare valore alla lingua dato che essa non si riduce soltanto alla letteratura. In effetti ho sempre trovato perlomeno bizzarro non solo la presenza di una materia unica chiamata "lingua e letteratura italiana" ma anche l'ugual numero di ore (4 per la cronaca) in tutti i licei (e perfino negli istituti tecnici è presente un triennio di letteratura come obbligatorio!) come se l'enfasi data alla letteratura in un liceo classico fosse la stessa di quella in un liceo economico-sociale.
Ripropongo a tal riguardo le seguenti riflessioni scritte nel 2000 da Adriano Colombo:
www.adrianocolombo.it/edulet/edulet03.pdf
"Ma più passa il tempo, più devo domandarmi se un curricolo di storia letteraria, per quanto riformulato, sia davvero da imporre a tutti gli studenti. L’ipotesi modulare consente di adattarlo in parte alle esigenze e agli interessi degli studenti, di tentare un dialogo con la cultura giovanile e massmediatica, ma resta comunque ancorato a un’idea alta, in qualche misura specialistica, degli studi letterari. Potrebbe darsi che farlo accettare e renderlo significativo sia un’impresa troppo azzardata, al limite dell’impossibile, nei confronti di una parte degli studenti, i quali avrebbero comunque diritto a un’educazione letteraria che si proponga di farne dei buoni lettori. Mi chiedo se per alcuni non sia preferibile un percorso di letture più libero, sganciato da una prospettiva storica complessiva, come si pratica in Gran Bretagna. Il curricolo modulare di storia letteraria sarebbe allora obbligatorio in alcuni indirizzi di studio, facoltativo in altri. L’ipotesi è ancora vaga, ma credo che meriti una discussione (anche se presento tuoni e fulmini)."
E subito dopo parla anche dell'eccessiva "marginalità" nel triennio dell'educazione letteraria" e di possibili soluzioni:
"Infine il problema più difficile concerne lo spazio dell’educazione linguistica nel triennio. Certo una dimensione storico-linguistica dovrebbe essere presente nella lettura dei testi letterari, ma il punto è l’educazione delle abilità linguistiche, che è sempre stata schiacciata dalla storia letteraria, al punto da essere di fatto sospesa per tre anni, con conseguenze disastrose [...]Un’ipotesi potrebbe muoversi su questa linea: nel triennio, le abilità linguistiche si coltivano (esclusivamente?) in relazione ai diversi ambiti disciplinari (tra i quali la letteratura è uno, ma accanto al diritto, alla fisica, all’elettrotecnica, e così via). L’attività del docente di lingua (che potrebbe continuare a coincidere con quello di letteratura) consiste in gran parte di moduli condotti insieme ai docenti di altre materie, che concernono il leggere, scrivere, parlare, specifico dei diversi ambiti."
A me paiono discorsi piuttosto condivisibili, almeno dalla mia esperienza diretta passata di studente. Sarebbe interessante comprendere qualche vostro giudizio al riguardo.
Ciao.
Mi riferisco al fatto inequivocabile che le lingue prima di tutto non sono lingue scritte (non importa se a mano, a stampa, su web...) o più genericamente registrate (dischi, filmati, tv e simili) ma sono prima di tutto indiscutibilmente parlate. Ogni scrittura e registrazione è un'invenzione successiva, che si può certo considerare un'invenzione lodevole, ma è pur comunque qualcosa che sia dal punto di vista storico che dal punto di vista logico è secondario rispetto alla lingua parlata (i linguisti se ne sono accorti da tempo, finendo a non considerare più come errore ad esempio il "lui" in posizione di soggetto). Di conseguenza si deduce che è del tutto scorretto ritenere che la lingua presente nei documenti scritti debba essere il "modello" per insegnare quella lingua "tout court" e ancor di più ritenere che un particolare sottoinsieme della lingua scritta debba essere scelto per insegnarla.
Pare a questo punto evidente constatare che il sottoinsieme della lingua presente nelle opere letterarie sia probabilmente il prodotto linguistico più derivato e meno primario che si possa immaginare (non mi risulta siano mai esistite popolazioni in cui le prime frasi dei neonati o le frasi dei commercianti per promuovere i loro prodotti avessero la metrica dei trimetri giambici o degli endecasillabi in terza rima, né che la loro struttura fosse paragonabile all'incipit de "La roba" di Verga).
Di fatto io ho sempre stentato a comprendere come mai nel triennio finale di TUTTE le scuole superiori italiane il tempo dedicato a studiare la letteratura debba di fatto quasi togliere spazio a quello dedicato a studiare la lingua e tutte le attività ad essa legate finendo quasi per dire che è più importante studiare la letteratura, che tanto verrà da sé studiare la lingua (che non vuol dire sapere un italiano elementare per chiedere un caffè al bar o avere informazioni su dove trovare l'ufficio postale più vicino).
Dovrebbe essere quindi compreso da tutti che è totalmente scorretto ritenere che l'insegnamento delle opere letterarie abbia come fine insegnare "la lingua italiana" nella sua totalità, di fatto in questo modo si impara a compiere soltanto certe operazioni (e non tutte quelle possibili che si possono compiere su materiali letterari) legate solo ad alcuni aspetti della lingua italiana... presenti solo nelle opere letterarie, ovvero un sottoinsieme estremamente piccolo e per nulla rappresentativo delle caratteristiche presenti negli usi non soltanto scritti in lingua italiana presenti in articoli di giornale, in saggi argomentativi, in guide turistiche, in telecronache sportive, in manuali di cucina, in arringhe giudiziarie, in annunci pubblicitari, in discorsi politici e in tantissimi altri utilizzi della lingua che inevitabilmente sono assenti nei testi letterari, fin troppo egemoni negli ultimi tre anni delle scuole superiori italiane attuali.
Avevo scritto peraltro già altre volte come nelle scuole gli insegnanti debbano aver compreso che si debba non enfatizzare troppo l'insegnamento della letteratura dentro l'insegnamento della lingua, per lo stesso motivo per cui l'insegnamento di storia dell'arte non dovrebbe essere eccessivamente enfatizzato all'interno di un insegnamento dedicato ai linguaggi visivi (i quali comprendono disegno tecnico, fotografia, grafica, fumetti, tipografia, design, cartografia e simili). Come già detto in quell'occasione, ripeto quindi che mi sembra che debba essere una conseguenza logica il ritenere che l'insegnamento della letteratura debba avere maggiore spazio ed enfasi in scuole in cui le materie umanistiche e letterarie dovrebbero essere al centro, ovvero i licei classici e linguistici, mentre si potrebbe tranquillamente dare meno spazio alla letteratura (ma non alla lingua italiana) negli altri tipi di licei e di scuola, ovvero giustamente trattata accanto alle altre forme importanti di comunicazione verbale nelle ore di italiano e ciò non per fare un torto alla letteratura ma anzi per dare valore alla lingua dato che essa non si riduce soltanto alla letteratura. In effetti ho sempre trovato perlomeno bizzarro non solo la presenza di una materia unica chiamata "lingua e letteratura italiana" ma anche l'ugual numero di ore (4 per la cronaca) in tutti i licei (e perfino negli istituti tecnici è presente un triennio di letteratura come obbligatorio!) come se l'enfasi data alla letteratura in un liceo classico fosse la stessa di quella in un liceo economico-sociale.
Ripropongo a tal riguardo le seguenti riflessioni scritte nel 2000 da Adriano Colombo:
www.adrianocolombo.it/edulet/edulet03.pdf
"Ma più passa il tempo, più devo domandarmi se un curricolo di storia letteraria, per quanto riformulato, sia davvero da imporre a tutti gli studenti. L’ipotesi modulare consente di adattarlo in parte alle esigenze e agli interessi degli studenti, di tentare un dialogo con la cultura giovanile e massmediatica, ma resta comunque ancorato a un’idea alta, in qualche misura specialistica, degli studi letterari. Potrebbe darsi che farlo accettare e renderlo significativo sia un’impresa troppo azzardata, al limite dell’impossibile, nei confronti di una parte degli studenti, i quali avrebbero comunque diritto a un’educazione letteraria che si proponga di farne dei buoni lettori. Mi chiedo se per alcuni non sia preferibile un percorso di letture più libero, sganciato da una prospettiva storica complessiva, come si pratica in Gran Bretagna. Il curricolo modulare di storia letteraria sarebbe allora obbligatorio in alcuni indirizzi di studio, facoltativo in altri. L’ipotesi è ancora vaga, ma credo che meriti una discussione (anche se presento tuoni e fulmini)."
E subito dopo parla anche dell'eccessiva "marginalità" nel triennio dell'educazione letteraria" e di possibili soluzioni:
"Infine il problema più difficile concerne lo spazio dell’educazione linguistica nel triennio. Certo una dimensione storico-linguistica dovrebbe essere presente nella lettura dei testi letterari, ma il punto è l’educazione delle abilità linguistiche, che è sempre stata schiacciata dalla storia letteraria, al punto da essere di fatto sospesa per tre anni, con conseguenze disastrose [...]Un’ipotesi potrebbe muoversi su questa linea: nel triennio, le abilità linguistiche si coltivano (esclusivamente?) in relazione ai diversi ambiti disciplinari (tra i quali la letteratura è uno, ma accanto al diritto, alla fisica, all’elettrotecnica, e così via). L’attività del docente di lingua (che potrebbe continuare a coincidere con quello di letteratura) consiste in gran parte di moduli condotti insieme ai docenti di altre materie, che concernono il leggere, scrivere, parlare, specifico dei diversi ambiti."
A me paiono discorsi piuttosto condivisibili, almeno dalla mia esperienza diretta passata di studente. Sarebbe interessante comprendere qualche vostro giudizio al riguardo.
Ciao.