Post by KlaramPost by Rogerhttps://i.imgur.com/Qp8uwoN.jpg
Che strano, però oggi non mi si apre Repubblica on line.
ti mando anche la risposta di Bartezzaghi (spero di non disturbale chi
non è interessato)
DI STEFANO BARTEZZAGHI
Nel suggerirci di sostituire il termine lockdown con uno dei possibili
equivalenti italiani Corrado Augias non ha fatto del semplice purismo.
Fra termini come “confinamento” e “clausura” Augias preferisce
quest’ultimo, perché trova nel primo uno sgradevole richiamo all’uso
che del confino si è fatto in epoca fascista. In fatto di lingua quasi
sempre le affermazioni sono opinabili: infatti si potrebbe obiettare
che nel suo uso prevalente — che è quello religioso — “clausura”
designa un atto volontario, mentre nella definizione dell’Oxford
Dictionary citata da Augias lockdown è chiaramente indicato come
un’imposizione d’autorità, come in italiano accade piuttosto con
“confinamento”. Ma questi sono appunto dettagli, che possono
appassionare solo chi si diletta a osservare più il gioco delle parole
che quello del calcio.
Augias avrà notato che negli articoli di Repubblica che comparivano
vicino al suo il termine lockdown aveva libero e disinvolto corso. Non
è neppure da escludere che gli autori degli articoli ne avrebbero
fatto volentieri a meno. Tutte le campagne per usare parole italiane
equivalenti ai termini che importiamo dall’inglese raccolgono regolari
consensi: eppure l’uso degli anglismi (ricordo che Tullio De Mauro
riteneva che persino “anglicismo” fosse un anglismo) non pare scemare.
Se il presidente del Consiglio dice lockdown il cronista che riporta
le sue dichiarazioni può forse correggerlo? La verità è che la nostra
libertà di scelta delle parole da usare non è assoluta. A formare il
nostro discorso non agisce solo la nostra volontà individuale, ma
anche la società, il ceto a cui apparteniamo, il nostro livello
culturale, la lingua stessa. L’interlocuzione si svolge come una
partita e alcune parole sono pedine già presenti sulla scacchiera: il
singolo giocatore può muoverle ma non può sempre rimuoverle o
sostituirle.
C’è poi un paradosso. Come Augias nota, una parola come “clausura” è
tanto più facile, orecchiabile e “bella” di lockdown. Però se diciamo
lockdown questa ci pare una forma di pigrizia. Se “clausura” è una
parola più facile, perché non ci viene più facile usarla al posto di
un anglismo? Dire che si tratta di una moda non è certo una
spiegazione e neppure una risposta: di moda è tutto ciò che molti
fanno volentieri e il punto è proprio quello. La moda ha ragioni o
parlando di moda ci accontentiamo di postulare che si tratti di
capricci?
Due ragioni sembra di poterle trovare. Viene facile dire lockdown
proprio perché non è un termine italiano e proprio perché è inglese.
Non è italiano, e dunque fa pensare a qualcosa di totalmente inedito,
non paragonabile a esperienze già note, come invece capita con
“confinamento” o “clausura”. È inglese, e dunque appartiene alla
lingua a cui abbiamo subappaltato, e non da oggi, la nostra
terminologia tecnica. Le università italiane propongono corsi che si
svolgono interamente in lingua inglese; usa sostantivi e verbi inglesi
chi parla di informatica, di tecnologia, di economia, persino diritto
(Augias richiama l’uso di stepchild adoption).
L’inglese non è più “bello” dell’italiano, né è certo più “facile”,
come pure a volte si sente dire. È invece difficilissimo già dalla
pronuncia di parole comuni (ahi, quei continui Recovery Fund
pronunciati come fossero found da politici e giornalisti nei
telegiornali e nei talk show...). Perciò usare l’inglese non è affatto
più comodo e anzi espone al ridicolo sia chi lo usa maldestramente sia
i pochi che ostentano pronunce ipercorrette e preziosistiche. Eppure
dire lockdown può venire istintivo. Succede perché pare giusto così: i
termini inglesi sono più prestigiosi e il loro impiego pare
preferibile, se non proprio necessario. Accade per la superiorità
culturale che la cultura angloamericana ha acquisito nei campi della
tecnologia e (per l’appunto) del management.
Il gioco del pallone in origine si chiamava football e aveva termini
tutti inglesi: corner, goal, referee, penalty, offside, hands. Col
tempo sono stati in gran parte sostituiti da equivalenti italiani.
Sarà un caso, ma è successo quando le squadre italiane hanno
cominciato a sconfiggere quelle inglesi.