Fiorelisa
2005-04-25 21:16:59 UTC
Guardate che bello questo articolo scritto da Pietro Citati:
IN QUALCHE MODO... E QUANT'ALTRO
Malgrado le apparenze, gli italiani non usano parole come pane, vino,
religione, laicismo, tasse, zucchero, terrorismo, tram, sciopero, padre,
madre, carciofo, pomodoro, panettone, maremoto, Dio, amore, malinconia,
morte. Non credete alle vostre orecchie ingannevoli: queste parole non
si ascoltano mai. Gli italiani amano (o amavano) soltanto due locuzioni
avverbiali: "e quant'altro" e "in qualche modo".
Credo che "e quant'altro" sia nato quattro o cinque anni fa:
all'improvviso, come un atollo del Pacifico; e mi piacerebbe moltissimo
sapere chi lo ha usato per la prima volta. Ma i dizionari tacciono.
Allora ascoltavo ogni minuto: "Amo Gesù, la Madonna e quant'altro". "Con
mia moglie e mi suocera abbiamo fatto un viaggio bellissimo a Venezia,
Padova e quant'altro". "Vada al Supermec - rivolto alla domestica
filippina - e compri un chilo di patate, due etti di bresaola e
quant'altro". "Adoro Oriana Fallaci, Umberto Eco e quant'altro". Era un
momento di grande euforia, in cui la fantasia linguistica italiana
camminava per le strade di Milano e di Roma, ciondolando come
un'ubriaca.
Ora i tempi gloriosi di "e quant'altro" stanno per finire. Non sento più
nell'aria quella gioia trionfale, quella estatica ecolalia, con cui
venivano affacciate possibilità indeterminate. Temo che "e quant'altro"
sia esausto: come "cioè", "no", "a monte", "a valle", "praticamente",
"al vostro livello", "al massimo livello". Quando le usiamo troppo, le
parole si affaticano, impallidiscono, si spossano, si ammalano e
finalmente muoiono.
Oggi tutti dicono "in qualche modo". Per esempio, durante la
trasmissione Otto e mezzo, una giornalista simpatica e gentile come
Ritanna Armeni dice "in qualche modo" ogni venti secondi; e ogni volta
un'ombra rattrista il suo profumato accento siciliano.
Non è facile capire cosa significhi "in qualche modo". Secondo il
dizionario Zingarelli (1930): "ammettendo per qualche ragione una cosa".
Secondo il Devoto-Oli (1990): "considerando con approssimazione".
Secondo il Dizionario Garzanti dei Sinonimi e dei Contrari (2001): "come
si può, alla bell'e meglio". Secondo il De Mauro (2000): "cercando di
risolvere una situazione, un problema anche in modo non ortodosso,
arrangiandosi alla bell'e meglio". Secondo lo Zanichelli (2004): "Alla
meno peggio,in un modo o nell'altro".
Chi parla non obbedisce ai dizionari; e le gambe troppo obese, lente e
tarde dei dizionari non riescono mai a inseguire le fantasie frivole e
capricciose che riempiono la bocca degli innumerevoli parlanti. Oggi "in
qualche modo" significa pressappoco: "Sto parlandovi di una situazione
così intricata, aggrovigliata e complessa, che nemmeno io riesco a
comprenderla: ma colla mia mente ugualmente delicata e complessa,
cercherò di esprimerla in tutte le sue possibilità e sfumature, così da
portarvi vicinissimi alla verità, sebbene non possa coglierla
esattamente. Mi dispiace". Mentre questo lungo discorso viene
concentrato in tre sole parole, lo sguardo di chi vi parla è perplesso e
inquieto, mentre le mani vagliano, accennano, soppesano, oscillano, come
bilance, attorno all'imponderabile.
C'è un'altra possibilità: forse "in qualche modo" non significa niente:
è pura materia verbale, che finge di essere una parola come molte
espressioni di ogni tempo. Gli uomini hanno sempre amato la vacuità
fonica: così nei romanzi di Dickens, Mrs. Nickleby, Mr. Peckniff, Mrs.
Gamp, Mr. Micwber bevono suoni, centellinano suoni, masticano e divorano
suoni, giocano coi suoni, nuotano arditamente nell'oceano ondoso e
tumultuoso dei suoni, specialmente se non vogliono dire nulla.
Qualche sera fa, seduto davanti alla televisione (beata porta del
sonno), ho assistito a uno spettacolo prodigioso. Stava parlando un
professore di storia, che appartiene a una potentissima famiglia
cattolica di Bologna: formata da dodici fratelli, quattordici mogli,
quarantotto figli, ventidue cognati, sessanta biciclette, per non
parlare dei suoceri e delle suocere, dei nipoti e dei vicini e lontani
parenti. Con fatica, i suoni uscivano dalle immense orecchie del
professore: dagli occhi piccoli, puntuti e cattivissimi, e talvolta
persino dalla bocca. "E quant'altro" si intrecciava con "in qualche
modo"; "praticamente" con "piuttosto che" e "al massimo livello". Le
parole estenuate e livide dalla noia si irraggiavano in tutti i sensi,
aleggiavano nello studio televisivo, s'impagliavano tra i peli
elegantissimi della barba di Giuliano Ferrara, sfioravano il bel volto
di Ritanna Armeni: la quale, "in qualche modo", non capiva niente, come
io non capivo, come nessuno riusciva disperatamente a capire. Ma tutto
questo avveniva, come diceva compiaciutissimo il professore, "al massimo
livello".
IN QUALCHE MODO... E QUANT'ALTRO
Malgrado le apparenze, gli italiani non usano parole come pane, vino,
religione, laicismo, tasse, zucchero, terrorismo, tram, sciopero, padre,
madre, carciofo, pomodoro, panettone, maremoto, Dio, amore, malinconia,
morte. Non credete alle vostre orecchie ingannevoli: queste parole non
si ascoltano mai. Gli italiani amano (o amavano) soltanto due locuzioni
avverbiali: "e quant'altro" e "in qualche modo".
Credo che "e quant'altro" sia nato quattro o cinque anni fa:
all'improvviso, come un atollo del Pacifico; e mi piacerebbe moltissimo
sapere chi lo ha usato per la prima volta. Ma i dizionari tacciono.
Allora ascoltavo ogni minuto: "Amo Gesù, la Madonna e quant'altro". "Con
mia moglie e mi suocera abbiamo fatto un viaggio bellissimo a Venezia,
Padova e quant'altro". "Vada al Supermec - rivolto alla domestica
filippina - e compri un chilo di patate, due etti di bresaola e
quant'altro". "Adoro Oriana Fallaci, Umberto Eco e quant'altro". Era un
momento di grande euforia, in cui la fantasia linguistica italiana
camminava per le strade di Milano e di Roma, ciondolando come
un'ubriaca.
Ora i tempi gloriosi di "e quant'altro" stanno per finire. Non sento più
nell'aria quella gioia trionfale, quella estatica ecolalia, con cui
venivano affacciate possibilità indeterminate. Temo che "e quant'altro"
sia esausto: come "cioè", "no", "a monte", "a valle", "praticamente",
"al vostro livello", "al massimo livello". Quando le usiamo troppo, le
parole si affaticano, impallidiscono, si spossano, si ammalano e
finalmente muoiono.
Oggi tutti dicono "in qualche modo". Per esempio, durante la
trasmissione Otto e mezzo, una giornalista simpatica e gentile come
Ritanna Armeni dice "in qualche modo" ogni venti secondi; e ogni volta
un'ombra rattrista il suo profumato accento siciliano.
Non è facile capire cosa significhi "in qualche modo". Secondo il
dizionario Zingarelli (1930): "ammettendo per qualche ragione una cosa".
Secondo il Devoto-Oli (1990): "considerando con approssimazione".
Secondo il Dizionario Garzanti dei Sinonimi e dei Contrari (2001): "come
si può, alla bell'e meglio". Secondo il De Mauro (2000): "cercando di
risolvere una situazione, un problema anche in modo non ortodosso,
arrangiandosi alla bell'e meglio". Secondo lo Zanichelli (2004): "Alla
meno peggio,in un modo o nell'altro".
Chi parla non obbedisce ai dizionari; e le gambe troppo obese, lente e
tarde dei dizionari non riescono mai a inseguire le fantasie frivole e
capricciose che riempiono la bocca degli innumerevoli parlanti. Oggi "in
qualche modo" significa pressappoco: "Sto parlandovi di una situazione
così intricata, aggrovigliata e complessa, che nemmeno io riesco a
comprenderla: ma colla mia mente ugualmente delicata e complessa,
cercherò di esprimerla in tutte le sue possibilità e sfumature, così da
portarvi vicinissimi alla verità, sebbene non possa coglierla
esattamente. Mi dispiace". Mentre questo lungo discorso viene
concentrato in tre sole parole, lo sguardo di chi vi parla è perplesso e
inquieto, mentre le mani vagliano, accennano, soppesano, oscillano, come
bilance, attorno all'imponderabile.
C'è un'altra possibilità: forse "in qualche modo" non significa niente:
è pura materia verbale, che finge di essere una parola come molte
espressioni di ogni tempo. Gli uomini hanno sempre amato la vacuità
fonica: così nei romanzi di Dickens, Mrs. Nickleby, Mr. Peckniff, Mrs.
Gamp, Mr. Micwber bevono suoni, centellinano suoni, masticano e divorano
suoni, giocano coi suoni, nuotano arditamente nell'oceano ondoso e
tumultuoso dei suoni, specialmente se non vogliono dire nulla.
Qualche sera fa, seduto davanti alla televisione (beata porta del
sonno), ho assistito a uno spettacolo prodigioso. Stava parlando un
professore di storia, che appartiene a una potentissima famiglia
cattolica di Bologna: formata da dodici fratelli, quattordici mogli,
quarantotto figli, ventidue cognati, sessanta biciclette, per non
parlare dei suoceri e delle suocere, dei nipoti e dei vicini e lontani
parenti. Con fatica, i suoni uscivano dalle immense orecchie del
professore: dagli occhi piccoli, puntuti e cattivissimi, e talvolta
persino dalla bocca. "E quant'altro" si intrecciava con "in qualche
modo"; "praticamente" con "piuttosto che" e "al massimo livello". Le
parole estenuate e livide dalla noia si irraggiavano in tutti i sensi,
aleggiavano nello studio televisivo, s'impagliavano tra i peli
elegantissimi della barba di Giuliano Ferrara, sfioravano il bel volto
di Ritanna Armeni: la quale, "in qualche modo", non capiva niente, come
io non capivo, come nessuno riusciva disperatamente a capire. Ma tutto
questo avveniva, come diceva compiaciutissimo il professore, "al massimo
livello".