Discussione:
consonanti "doppie" nei dialetti settentrionali
(troppo vecchio per rispondere)
Davide Pioggia
2014-07-29 10:28:36 UTC
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Tempo fa Klaram diceva che gli autori di certe zone del Piemonte esprimono
la brevità d'una vocale facendo vedere, graficamente, che la consonante
successiva è allugata, e lo fanno raddoppiando graficamente la consonante.

Così si può scrivere "ett" per evidenziare che si ha una "e" breve seguita
da una [t] allugata.

I casi più complicati sono quelli in cui la consonante allugata viene prima
d'un'altra consonante. Ad esempio se c'è una "e" breve davanti al nesso "st"
bisognerà scrivere "esst".

Questo criterio si può estendere anche consonanti che si esprimono con dei
digrammi. Così la nasale palatale si può scrivere "gn" se breve e "ggn" se
allugata.

Conoscete qualche autore settentrionale che adotta soluzioni grafiche come
queste?

Grazie per l'aiuto.
--
Saluti.
D.
Maurizio Pistone
2014-07-29 15:12:39 UTC
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Post by Davide Pioggia
Tempo fa Klaram diceva che gli autori di certe zone del Piemonte esprimono
la brevità d'una vocale facendo vedere, graficamente, che la consonante
successiva è allugata, e lo fanno raddoppiando graficamente la consonante.
vëdde = vedere

per quanto riesco a percepire (ma la nostra percezione della pronuncia è
sempre un po' influenzata dall'aspetto grafico, anche nelle lingue
prevalentemente parlate!) la -d- è geminata anche nella pronuncia

in ogni caso la ë è sempre breve, o per meglio dire, tutte le altre
vocali non hanno distinzione di quantità
Post by Davide Pioggia
I casi più complicati sono quelli in cui la consonante allugata viene prima
d'un'altra consonante. Ad esempio se c'è una "e" breve davanti al nesso "st"
bisognerà scrivere "esst".
Questo criterio si può estendere anche consonanti che si esprimono con dei
digrammi. Così la nasale palatale si può scrivere "gn" se breve e "ggn" se
allugata.
non mi vengono in mente esempi di questo genere
Post by Davide Pioggia
Conoscete qualche autore settentrionale che adotta soluzioni grafiche come
queste?
per quanto riguarda il primo caso, è la grafia standard
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it
Davide Pioggia
2014-07-29 15:35:51 UTC
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Post by Maurizio Pistone
vëdde = vedere
Come vi regolate quando la "doppia" si viene a trovare davanti a un'altra
consonante? Ad esempio, come si dice/scrive «vederla»? vëddla?

Ciao!
D.
Dragonòt
2014-07-29 15:53:49 UTC
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Post by Davide Pioggia
Come vi regolate quando la "doppia" si viene a trovare davanti a un'altra
consonante? Ad esempio, come si dice/scrive «vederla»? vëddla?


In questo caso è "vëdd-la".
Altrimenti "sërché" = cercare
Bepe
Davide Pioggia
2014-07-29 16:11:03 UTC
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Post by Dragonòt
In questo caso è "vëdd-la".
Quindi non è doppia, ma solo allungata. Se fosse doppia dovrebbe
Post by Dragonòt
Altrimenti "sërché" = cercare
Ci vuole una parola nella quale la <ë> si accentata (tonica). Prendiamo ad
esempio <chërde> (si dice così «credere», giusto?). Ora prendiamo una parola
in cui il nesso /rd/ viene dopo una vocale lunga, come immagino sia la /a/.
Ad esempio «carta, barca» si dicono <carta, barca>, giusto?

Domanda: quando dici <chërde>, ti sembra di allungare un poco la /r/, come
allughi la /d/ in <vëdd-la>? È possibile che la /r/ di <chërde> sia più
lunga della /r/ di <carta, barca>?

Grazie!
--
Saluti.
D.
Dragonòt
2014-07-29 20:10:13 UTC
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Post by Davide Pioggia
Ad esempio «carta, barca» si dicono <carta, barca>, giusto?
Giusto. Va be', mio nonno diceva "papé" ;-)
Post by Davide Pioggia
Domanda: quando dici <chërde>, ti sembra di allungare un poco la /r/, come
allughi la /d/ in <vëdd-la>? È possibile che la /r/ di <chërde> sia più
lunga della /r/ di <carta, barca>?
A me sembra di no, ma non so se sono un buon giudice.
Ho provato allo specchio, a dire "m'i cardo" (verbo cardare) e "m'i chërdo",
e non mi sembra ci sia differenza nella durata della "r", né nella sua
vibrazione. L'unica differenza è l'apertura delle labbra.
Ciao,
Bepe
Maurizio Pistone
2014-07-30 08:11:50 UTC
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Post by Dragonòt
Ho provato allo specchio, a dire "m'i cardo" (verbo cardare) e "m'i chërdo",
e non mi sembra ci sia differenza nella durata della "r", né nella sua
vibrazione. L'unica differenza è l'apertura delle labbra.
invece se dico mi vado / mi vëddo mi "sembra" di percepire un
rafforzamento della -d-

quindi dovrebbe funzionare solo con le consonati semplici
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
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Davide Pioggia
2014-07-30 09:55:25 UTC
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Post by Maurizio Pistone
invece se dico mi vado / mi vëddo mi "sembra" di percepire un
rafforzamento della -d-
quindi dovrebbe funzionare solo con le consonati semplici
Ma in "vëdd-la" non senti alcun rafforzamento della /d/ prima della /l/?
--
Saluti.
D.
Maurizio Pistone
2014-07-30 10:29:51 UTC
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Post by Davide Pioggia
Post by Maurizio Pistone
invece se dico mi vado / mi vëddo mi "sembra" di percepire un
rafforzamento della -d-
quindi dovrebbe funzionare solo con le consonati semplici
Ma in "vëdd-la" non senti alcun rafforzamento della /d/ prima della /l/?
mi somiglia di sì, ma si tratta di un suffisso

tu conosci casi di consonante composta geminata nella radice?
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
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Davide Pioggia
2014-07-30 11:54:16 UTC
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Post by Maurizio Pistone
tu conosci casi di consonante composta geminata nella radice?
Geminata non direi, ma allugata sì.

Nei dialetti romagnoli la consonante che segue una vocale breve normalmente
è allungata, anche davanti a un'altra consonante. Ad esempio in riminese
[sEElt]=«salto», mentre [sEl:t]=«salti». Nel plurale la "è" è breve, e
quindi la [l] si allunga.

Tieni presente, però, che per spiegare queste cose ci vuole un'analisi
fonetica un po' sofisticata, come quella di Canepari.

Nell'italiano delle regioni centrali (o meglio in quello standard) è del
tutto normale che una consonante, quando si trova in un certi contesti
prosodici (segue una vocale accentata ecc.), si allughi. Se vai qui:
http://venus.unive.it/canipa/pdf/HPr_03_Italian.pdf
a pag. 147, nella _Modern neutral pronunciation_ trovi, ad esempio,
['dZor:no, 'fOr:te, al:tro, in'nan:tsi] eccetera. Questo vale anche per le
consonanti geminate, nel senso che la prima è allugata: [man'tEl:lo].
In altri termini, una sillaba chiusa si chiude spesso con [C:], non con
[C], anche se dopo viene un'altra consonante.

Per chi vive nell'Italia centrali questi sono "automatismi profondi" ,
di cui solitamente non si ha consapevolezza. Tu figurati che molti studiosi
italiani che vivono in quelle regioni se devono trascrivere foneticamente
una consonante geminata, che per Canepari è [C:C], come in [man'tEl:lo],
arrivano a scriverla [mantEl:o]. Se fosse veramente così, la divisione
sillabica sarebbe [mantEl:-o] (come si trova effettivamente nei dialetti
romagnoli dopo una vocale breve), e non ci sarebbe alcuna geminazione
(nel senso che non ci sarebbe una [l] all'inizio della sillaba finale).

Come dicevo, in molte regioni questi sono automatismi, e non c'è alcuna
consapevolezza. Invece per me fra [VVCC] e [VC:C] c'è addirittura
un'opposizione fonologica, che mi consente di distinguere, fra le altre
cose, i maschili singolari da quelli plurali, e l'analisi di Canapari è
l'unica che possa rendere conto di tali opposizioni (ovviamente uno può
anche fare riferimento a un diverso quadro teorico, ma tale quadro teorico,
qualunque sia, deve saper spiegare come fanno i riminesi a sapere se uno sta
dicendo «salto» o «salti», sennò è un quadro teorico che non è in grado di
rendere conto dei fatti oggettivi osservati).

Ora, dal momento che tu sei cresciuto in Piemonte, immagino che tu
normalmente dica [CC], non [C:C]. Ma proprio perché per te è normale dire
[CC], se in qualche occasione (ad esempio dopo una vocale breve, sotto
accento principale eccetera) hai "bisogno" di dire [C:C], dovresti sentire
la differenza.
--
Saluti.
D.
posi
2014-07-30 18:15:16 UTC
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Post by Davide Pioggia
Per chi vive nell'Italia centrali questi sono "automatismi profondi" ,
di cui solitamente non si ha consapevolezza. Tu figurati che molti studiosi
italiani che vivono in quelle regioni se devono trascrivere foneticamente
una consonante geminata, che per Canepari è [C:C], come in [man'tEl:lo],
arrivano a scriverla [mantEl:o]. Se fosse veramente così, la divisione
sillabica sarebbe [mantEl:-o] (come si trova effettivamente nei dialetti
romagnoli dopo una vocale breve), e non ci sarebbe alcuna geminazione
(nel senso che non ci sarebbe una [l] all'inizio della sillaba finale).
Sarà che io vivo proprio nell'Italia centrale, ma la differenza non mi
sembra proprio di sentirla.
C'è un criterio scientifico, sperimentale, per stabilire se una
consonante è allungata o geminata (cioè che la divisione sillabica sia
[mantEl-lo] e non [mantEl:-o])?
Il Canepari si limita a bollare [kor:e'dZ:es:e] o [kor:re'd:Zes:e] come
sbagliati, ma senza spiegare in maniera convincente il perché,
proponendo come corretta la forma [korredZdZesse].
Post by Davide Pioggia
Come dicevo, in molte regioni questi sono automatismi, e non c'è alcuna
consapevolezza. Invece per me fra [VVCC] e [VC:C] c'è addirittura
un'opposizione fonologica, che mi consente di distinguere, fra le altre
cose, i maschili singolari da quelli plurali,
Questo non dimostra niente: semmai dovresti trovare un'opposizione tra
[VVCC] e [VVC:] o [VVC:C]
Davide Pioggia
2014-07-30 20:56:40 UTC
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Post by posi
C'è un criterio scientifico, sperimentale, per stabilire se una
consonante è allungata o geminata (cioè che la divisione sillabica
sia [mantEl-lo] e non [mantEl:-o])?
La mia esperienza nel campo dell'analisi acustica è piuttosto limitata.
Conosco degli studiosi che ci lavorano, talvolta ci siamo confrontati, e
anch'io ho fatto delle ricerche, ma non ho mai pubblicato nulla, perché non
mi sento pronto.

Ho l'impressione che ci sarebbe un po' da discutere anche su cosa si
possa ritenere un riscontro oggettivo.
Post by posi
Questo non dimostra niente: semmai dovresti trovare un'opposizione tra
[VVCC] e [VVC:] o [VVC:C]
È un discorso lungo e complicato. Tieni presente, comunque, che già
Friedrich Schürr, che era austriaco e partiva da presupposti teorici
completamente diversi da quelli moderni, si era reso conto chiaramente che
nei dialetti romagnoli dopo una vocale breve accentata si ha una consonante
allugata, anche davanti a un'altra consonante.
--
Saluti.
D.
posi
2014-07-30 23:53:57 UTC
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Post by Davide Pioggia
Post by posi
C'è un criterio scientifico, sperimentale, per stabilire se una
consonante è allungata o geminata (cioè che la divisione sillabica
sia [mantEl-lo] e non [mantEl:-o])?
La mia esperienza nel campo dell'analisi acustica è piuttosto limitata.
Conosco degli studiosi che ci lavorano, talvolta ci siamo confrontati, e
anch'io ho fatto delle ricerche, ma non ho mai pubblicato nulla, perché non
mi sento pronto.
Ho l'impressione che ci sarebbe un po' da discutere anche su cosa si
possa ritenere un riscontro oggettivo.
Per riscontro oggettivo intendo delle misure di intensità, durata,
altezza, ecc, fatte analizzando delle registrazioni.
Fare statistiche attendibili e prendere i valori medi.
Davide Pioggia
2014-07-30 21:40:37 UTC
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Post by posi
Sarà che io vivo proprio nell'Italia centrale, ma la differenza non mi
sembra proprio di sentirla.
Proviamo a parlarne un poco, a livello di chiacchiere fra amici, senza
pretese di oggettività scientifica.

Se io affermo che tu, quando dici «tutto», pronunci le due sillabe [tut]
e [to], sei d'accordo?

Se sei d'accordo, perché vuoi scrivere [tut:o] anziché [tutto]? Se scrivi
[tutto], quando vuoi sillabare non devi far altro che aggiungere un
trattino: [tut-to].

Non è solo una formalità, perché il crono (:) serve in quelle
lingue/dialetti in cui esiste il fenomeno dell'allungamento consonantico.

Ad esempio nel mio dialetto «tutto» si dice [tot:]. C'è una consonante
allugata, ma chiaramente è solo allugata, perché è un'unica sillaba. Non
dico [tot-t], con una seconda sillaba formata solo da [t]. Invece tu
pronunci le due sillabe [tut] e [to].

Dunque per lo meno tu potresti scrivere [tutto], per far vedere che la tua
lingua è diversa dal mio dialetto, nel quale esiste una cosa come [tot:].

Se potessimo metterci d'accordo almeno su questo punto, poi potremmo
vedere se per scrivere la tua lingua basti [tutto] o non sia il caso di
arrivare addirittura a [tut:to]. Ma almeno fino a [tutto] ci potremmo
arrivare, no? Se le doppie dell'italiano sono semplicemente [C:], allora
tutto ciò che sta in mezzo fra il totale scempiamento e le doppie
dell'italiano sembra che non esista e non possa esistere.
--
Saluti.
D.
Maurizio Pistone
2014-07-30 21:46:18 UTC
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Post by Davide Pioggia
Se io affermo che tu, quando dici «tutto», pronunci le due sillabe [tut]
e [to], sei d'accordo?
Se sei d'accordo, perché vuoi scrivere [tut:o] anziché [tutto]? Se scrivi
[tutto], quando vuoi sillabare non devi far altro che aggiungere un
trattino: [tut-to].
naturalmente sappiamo tutti che l'ortografia è una ben povera immagine
della fonetica
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it
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http://blog.ilpugnonellocchio.it
Davide Pioggia
2014-07-31 01:13:50 UTC
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Post by Maurizio Pistone
Post by Davide Pioggia
Se sei d'accordo, perché vuoi scrivere [tut:o] anziché [tutto]? Se
scrivi [tutto], quando vuoi sillabare non devi far altro che
aggiungere un trattino: [tut-to].
naturalmente sappiamo tutti che l'ortografia è una ben povera immagine
della fonetica
Non è una semplice questione ortografica. Si tratta, semmai, di definire
delle convenzioni coerenti coi propri presupposti.

Proviamo a procedere per passi:

1) Siamo d'accordo che in «tutta» ci sono sue sillabe?

Se sì, bisogna cercare di capire come sono strutturate quelle due sillabe.

2) Siamo d'accordo che in «tutta», non c'è una semplice [t]?

Qui direi che non ci sono dubbi, perché la semplice [t] c'è nella parola
«tuta», e siccome sentiamo la differenza fra «tutta» e «tuta» allora la
quantità consonantica non può essere la stessa. Quindi in «tutta» ci
dobbiamo mettere qualcosa di diverso dalla semplice [t], a partire da [t:]
fino a [t:t], passando per [tt].

Le risposte a queste domande sono correlate. Infatti per la divisione
sillabica ci sono diverse possibilità:

1) Riteniamo che la prima sillaba abbia [t] come coda e che la seconda
sillaba abbia [t] come attacco?

Se è così, non vedo proprio perché non definire i criteri di trascrizione
fonetica in modo tale che l'unione delle due sillabe [tut] e [ta] si possa
trascrivere [tutta]. Visto che dobbiamo definire delle convenzioni per
rappresentare la quantità, sarebbe una inutile complicazione definire un
sistema di trascrizione tale che [tut]+[ta] non sia [tutta], ma [tut:a].

2) Riteniamo che la prima sillaba non abbia coda, e che la "t" stia tutta
nell'attacco della seconda?

Se è così, siccome abbiamo stabilito che almeno la quantità dev'essere
rappresentata con [t:] (altrimenti sarebbe «tuta», non «tutta»), dovremmo
avere la divisione sillabica [tu-t:a].

Secondo me ci sono criteri oggettivi abbastanza evidenti per respingere
questa possibilità. Innanzi tutto l'attacco sillabico [t:] non trova
riscontro all'inizio della parola, e in secondo luogo la [u] è breve, mentre
in italiano (per lo meno in quello standard) una vocale in sillaba aperta si
alluga. In altri termini, se la seconda sillaba fosse veramente [t:a], la
prima dovrebbe essere [tu:], come la prima sillaba di «tuta».

3) Riteniamo che la "t" stia tutta nella coda della prima sillaba?

In tal caso dovremmo avere la divisione sillabica [tut:-a].

Se siamo d'accordo fin qui, direi che la "partita" si gioca fra [tut-ta] e
[tut:-a]. Ma chissà se siamo d'accordo.
--
Saluti.
D.
Una voce dalla Germania
2014-07-31 08:19:57 UTC
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Post by Davide Pioggia
2) Siamo d'accordo che in «tutta», non c'è una semplice [t]?
Volendo mettere i trattini sulle t, certo che c'è! Come
definisci la t all'inizio di "tutta"? ;-)

Più seriamente, propongo una piccola riflessione: i tuoi
ragionamenti valgono allo stesso modo anche per la
differenza moto/motto, baco/Bacco, vero/verro e in tutti gli
altri casi, indipendentemente dal tipo di vocale precedente
(e/o aperta o chiusa), o si manifestano delle differenze?
Davide Pioggia
2014-07-31 09:18:22 UTC
Permalink
Post by Una voce dalla Germania
Volendo mettere i trattini sulle t, certo che c'è! Come
definisci la t all'inizio di "tutta"? ;-)
Già, è vero :-)
Post by Una voce dalla Germania
Più seriamente, propongo una piccola riflessione: i tuoi
ragionamenti valgono allo stesso modo anche per la
differenza moto/motto, baco/Bacco, vero/verro e in tutti gli
altri casi, indipendentemente dal tipo di vocale precedente
(e/o aperta o chiusa), o si manifestano delle differenze?
Certo. Se decidiamo di trascrivere «moto, baco, vero» con [t, k, r], allora
in «motto, Bacco, verro» bisognerà mettere qualcosa di diverso da [t, k, r],
a partire da [t:, k:, r:] fino a [t:t, k:k, r:r]. Mi sembra che su questo
siamo tutti d'accordo.
--
Saluti.
D.
posi
2014-07-31 14:07:23 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Maurizio Pistone
Post by Davide Pioggia
Se sei d'accordo, perché vuoi scrivere [tut:o] anziché [tutto]? Se
scrivi [tutto], quando vuoi sillabare non devi far altro che
aggiungere un trattino: [tut-to].
naturalmente sappiamo tutti che l'ortografia è una ben povera immagine
della fonetica
Non è una semplice questione ortografica. Si tratta, semmai, di definire
delle convenzioni coerenti coi propri presupposti.
1) Siamo d'accordo che in «tutta» ci sono sue sillabe?
Se sì, bisogna cercare di capire come sono strutturate quelle due sillabe.
2) Siamo d'accordo che in «tutta», non c'è una semplice [t]?
Qui direi che non ci sono dubbi, perché la semplice [t] c'è nella parola
«tuta», e siccome sentiamo la differenza fra «tutta» e «tuta» allora la
quantità consonantica non può essere la stessa. Quindi in «tutta» ci
dobbiamo mettere qualcosa di diverso dalla semplice [t], a partire da [t:]
fino a [t:t], passando per [tt].
Che la quantità consonantica non sia la stessa è palese.
Dal momento è circa doppia, io userei tranquillamente il simbolo [:].
Se si vuole indicare una lunghezza intermedia, esiste un apposito
simbolo IPA. Mentre invece la grafia [tt] rischia di confondersi con
una ripetizione del suono anziché l'allungamento, che è una cosa
completamente diversa.

Se invece sostieni che ci siano effettivamente due t distinte, una
appartenente alla prima sillaba e una alla seconda, allora, come dicevo
nell'altro massaggio, questo punto di vista è accettabile finché
consideriamo la t, che è un'occlusiva. Ma diventa assolutamente
inaccettabile nel caso di un'affricata.
Post by Davide Pioggia
Le risposte a queste domande sono correlate. Infatti per la divisione
1) Riteniamo che la prima sillaba abbia [t] come coda e che la seconda
sillaba abbia [t] come attacco?
Se è così, non vedo proprio perché non definire i criteri di trascrizione
fonetica in modo tale che l'unione delle due sillabe [tut] e [ta] si possa
trascrivere [tutta]. Visto che dobbiamo definire delle convenzioni per
rappresentare la quantità, sarebbe una inutile complicazione definire un
sistema di trascrizione tale che [tut]+[ta] non sia [tutta], ma [tut:a].
In generale, quando si uniscono sequenze di suoni, possono avvenire
modificazioni, persino quando si tratta di parole diverse, tanto più
sillabe diverse di una stessa parola. Quindi non è affatto detto che
debba valere la proprietà [A]+[B]=[AB]
Post by Davide Pioggia
2) Riteniamo che la prima sillaba non abbia coda, e che la "t" stia tutta
nell'attacco della seconda?
Se è così, siccome abbiamo stabilito che almeno la quantità dev'essere
rappresentata con [t:] (altrimenti sarebbe «tuta», non «tutta»), dovremmo
avere la divisione sillabica [tu-t:a].
Secondo me ci sono criteri oggettivi abbastanza evidenti per respingere
questa possibilità. Innanzi tutto l'attacco sillabico [t:] non trova
riscontro all'inizio della parola, e in secondo luogo la [u] è breve, mentre
in italiano (per lo meno in quello standard) una vocale in sillaba aperta si
alluga. In altri termini, se la seconda sillaba fosse veramente [t:a], la
prima dovrebbe essere [tu:], come la prima sillaba di «tuta».
3) Riteniamo che la "t" stia tutta nella coda della prima sillaba?
In tal caso dovremmo avere la divisione sillabica [tut:-a].
Se siamo d'accordo fin qui, direi che la "partita" si gioca fra [tut-ta] e
[tut:-a]. Ma chissà se siamo d'accordo.
Sono tutte ipotesi teoriche... servirebbe comunque una conferma
sperimentale, e prima ancora servirebbe una definizione "operativa" del
concetto stesso di sillaba.
posi
2014-07-30 23:46:10 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by posi
Sarà che io vivo proprio nell'Italia centrale, ma la differenza non mi
sembra proprio di sentirla.
Proviamo a parlarne un poco, a livello di chiacchiere fra amici, senza
pretese di oggettività scientifica.
Se io affermo che tu, quando dici «tutto», pronunci le due sillabe [tut]
e [to], sei d'accordo?
Già qui avrei qualche obiezione: possiamo dire senz'altro che ci siano
due sillabe, ma il confine tra queste due sillabe è qualcosa di
piuttosto arbitrario: perché [tut-to] e non [tu-tto]?
L'unica ragione per supporre l'esistenza di due t è il particolare
inviluppo delle occlusive, che paradossalmente si possono sentire solo
nella fase di attacco e di rilascio, mentre per la maggior parte della
loro durata si ascolta solo silenzio.

Prendiamo un esempio più semplice, con una fricativa: asso. Per
sostenere che le sillabe siano [as-so], e quindi che ci siano due [s] e
non una sola [s] allungata è necessario dimostrare che ci sia
acusticamente una qualche separazione, anche solo accennata, tra queste
due s. Almeno un lieve calo di intensità.

La cosa diventa ancora più evidente con le affricate, per esempio la
[tS], che hanno una fase di attacco simile ad un'occlusiva [t] e
nettamente diversa da quella di rilascio, che invece è simile ad una
fricativa [S], quindi diventa molto evidente la differenza tra
un'affricata lunga (che ha una fase di attacco allungata [t:S]) e due
affricate (dove si dovrebbero sentire distintamente i due attacchi
separati da un rilascio [tStS]).
Mi sembra evidente che in italiano usiamo la prima, eppure Canepari
scrive, per esempio [fatStSo] (faccio)
Post by Davide Pioggia
Se sei d'accordo, perché vuoi scrivere [tut:o] anziché [tutto]? Se scrivi
[tutto], quando vuoi sillabare non devi far altro che aggiungere un
trattino: [tut-to].
Non è solo una formalità, perché il crono (:) serve in quelle
lingue/dialetti in cui esiste il fenomeno dell'allungamento consonantico.
Se ho ben capito, in queste lingue non esiste la geminazione.
In altre parole, non ci sono elementi per sostenere che la "geminazione"
sia qualcosa di diverso da un semplice allungamento delle consonanti. Il
fatto che in alcune lingue questo allungamento assuma un valore
fonologico e in altre no, è un altro discorso.
Post by Davide Pioggia
Ad esempio nel mio dialetto «tutto» si dice [tot:]. C'è una consonante
allugata, ma chiaramente è solo allugata, perché è un'unica sillaba.
Su che basi dici che è la t è allungata?
E' perché forma una coppia minima con [tot], o perché ti "suona" lunga,
o perché hai misurato la lunghezza?

Io non saprei con quali criteri misurare la lunghezza di una t a fine
parola.
Post by Davide Pioggia
Se potessimo metterci d'accordo almeno su questo punto, poi potremmo
vedere se per scrivere la tua lingua basti [tutto] o non sia il caso di
arrivare addirittura a [tut:to]. Ma almeno fino a [tutto] ci potremmo
arrivare, no? Se le doppie dell'italiano sono semplicemente [C:], allora
tutto ciò che sta in mezzo fra il totale scempiamento e le doppie
dell'italiano sembra che non esista e non possa esistere.
Quindi la differenza tra [t:] e [tt] sarebbe solo una questione
quantitativa?
Davide Pioggia
2014-07-31 01:16:02 UTC
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Post by posi
Già qui avrei qualche obiezione: possiamo dire senz'altro che ci siano
due sillabe, ma il confine tra queste due sillabe è qualcosa di
piuttosto arbitrario: perché [tut-to] e non [tu-tto]?
Tu senti la differenza fra la "u" di «tutta» e quella di «tuta»?
Se dico che quella di «tuta» è più lunga, cioè che è [tu:-ta],
tu sei d'accordo?
--
Saluti.
D.
posi
2014-07-31 12:24:25 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by posi
Già qui avrei qualche obiezione: possiamo dire senz'altro che ci siano
due sillabe, ma il confine tra queste due sillabe è qualcosa di
piuttosto arbitrario: perché [tut-to] e non [tu-tto]?
Tu senti la differenza fra la "u" di «tutta» e quella di «tuta»?
Se dico che quella di «tuta» è più lunga, cioè che è [tu:-ta],
tu sei d'accordo?
Certo, su questo sì.
Davide Pioggia
2014-07-31 13:20:55 UTC
Permalink
Post by posi
Post by Davide Pioggia
Tu senti la differenza fra la "u" di «tutta» e quella di «tuta»?
Se dico che quella di «tuta» è più lunga, cioè che è [tu:-ta],
tu sei d'accordo?
Certo, su questo sì.
Allora forse sarai d'accordo anche sul fatto che è la presenza d'una coda
consonantica nella sillaba a mantenere breve la vocale.

Voglio dire che in «tuta» la [u] può allugarsi perché si trova in sillaba
aperta, [tu: - ta], mentre in «tutta» non può allugarsi perché la sillaba è
chiusa. Infatti, se provi a dire semplicemente «tut», la [u] resta breve, e
non dici [tu:t] (diresti così, forse, per imitare il suono del telefono che
suona libero, ma infatti molti lo scrivono «tuut»!).

Se siamo d'accordo su questo, allora la prima sillaba di «tutta»
dev'essere caudata, cioè [tut(:)]. Ora resta da capire se la seconda
sillaba sia [tu] o [a].
--
Saluti.
D.
posi
2014-08-01 01:26:28 UTC
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Post by Davide Pioggia
Post by posi
Post by Davide Pioggia
Tu senti la differenza fra la "u" di «tutta» e quella di «tuta»?
Se dico che quella di «tuta» è più lunga, cioè che è [tu:-ta],
tu sei d'accordo?
Certo, su questo sì.
Allora forse sarai d'accordo anche sul fatto che è la presenza d'una coda
consonantica nella sillaba a mantenere breve la vocale.
Voglio dire che in «tuta» la [u] può allugarsi perché si trova in sillaba
aperta, [tu: - ta], mentre in «tutta» non può allugarsi perché la sillaba è
chiusa. Infatti, se provi a dire semplicemente «tut», la [u] resta breve, e
non dici [tu:t] (diresti così, forse, per imitare il suono del telefono che
suona libero, ma infatti molti lo scrivono «tuut»!).
Se siamo d'accordo su questo, allora la prima sillaba di «tutta»
dev'essere caudata, cioè [tut(:)]. Ora resta da capire se la seconda
sillaba sia [tu] o [a].
Andiamo pure avanti, ora dimmi tu però: quante [t] senti in "tutta", e
quante [tS] senti in "cuccia"?
Davide Pioggia
2014-08-01 09:17:00 UTC
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Post by posi
Andiamo pure avanti, ora dimmi tu però: quante [t] senti in "tutta"
Io scrivo [tut:-ta] (per ora lasciamo stare la questione della [tS], anche
perché io la pronuncio "alla settentrionale", ed è piuttosto diversa dalla
tua).

Per giustificare questa grafia, dovremmo incontrarci, e provare a
pronunciare la prima sillaba, «tut». A meno che tu non abbia una buona
dimestichezza con lingue straniere come l'inglese, secondo me la
pronunceremmo in modo molto diverso. Tu probabilmente tenderesti ad
aggiungere una schwa finale, e potresti anche avere l'impressione che io non
aggiunga la [t] finale (infatti una [t] finale che non sia seguita da alcun
elemento vocalico per il tuo orecchio potrebbe risultare "troppo
silenziosa").

Una volta che ci fossimo messi d'accordo su come è fatta la sillaba «tut»,
forse potremmo concordare che io dico [tut:], e al quel punto non sarebbe
difficile rendersi conto che per dire «tutta» bisogna proprio aggiungere
[ta].

Insomma, se tu, per dire «tut», già dici qualcosa come [tut-t@], senza
esserne (del tutto) consapevole, poi quando dici [tut(:)-ta] ci senti poca
differenza.
--
Saluti.
D.
Maurizio Pistone
2014-08-01 10:40:16 UTC
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Post by Davide Pioggia
Per giustificare questa grafia, dovremmo incontrarci, e provare a
pronunciare la prima sillaba
seguo con attenzione questo trèd, di sicuro alla fine avrò finalmente
capito che cos'è una sillaba
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it
Davide Pioggia
2014-08-01 11:00:35 UTC
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Post by Maurizio Pistone
seguo con attenzione questo trèd, di sicuro alla fine avrò finalmente
capito che cos'è una sillaba
Allora diciamo che potremmo incontrarci per provare a dire «tut» (qualunque
cosa sia), e confrontare le nostre percezioni. Una volta fatto questo
lavoro, potremmo mettere a confronto le nostre percezioni della differenza
che c'è fra «tut» e «tutta». Ognuno dirà le sue impressioni, poi potremo
fare delle registrazioni e vedere se negli spettrogrammi salta fuori qualche
cosa che può corrispondere a tali percezioni. È un lavoro un po' lunghetto.
--
Saluti.
D.
posi
2014-08-01 12:30:30 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Maurizio Pistone
seguo con attenzione questo trèd, di sicuro alla fine avrò finalmente
capito che cos'è una sillaba
Allora diciamo che potremmo incontrarci per provare a dire «tut» (qualunque
cosa sia), e confrontare le nostre percezioni. Una volta fatto questo
lavoro, potremmo mettere a confronto le nostre percezioni della differenza
che c'è fra «tut» e «tutta». Ognuno dirà le sue impressioni, poi potremo
fare delle registrazioni e vedere se negli spettrogrammi salta fuori qualche
cosa che può corrispondere a tali percezioni. È un lavoro un po' lunghetto.
Fare uno studio sulle percezioni sarebbe senz'altro interessante per
vedere quanto queste siano condizionate dalla lingua che parliamo.
Ma per misurare la lunghezza di vocali e consonanti l'analisi degli
spettrogrammi è sicuramente più oggettiva, veloce, semplice, e affidabile.
Stefan Ram
2014-08-01 10:49:57 UTC
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Post by Davide Pioggia
Io scrivo [tut:-ta] (per ora lasciamo stare la questione della [tS], anche
perché io la pronuncio "alla settentrionale", ed è piuttosto diversa dalla
tua).
(Tutto che segue si riferisce all'italiano in generale,
non ai dialetti settentrionali.)

In »tutto« io sento soltanto due suoni « t » perché il
secondo graphema <t> (« tu<t>ta ») non ha rilascio
(esplosione) udibile e la terza non ha occlusione udibile,
e quindi il <tt> e un solo suono per me, anche se si scrive
[tt] o [t:t] nella trascrizione fonetica.

Se mi ricordo bene, Canepari ha spiegato¹ che nell'
« italiano neutro » l'ultimo suono di una sillaba accentata
in tonia viene allungato. Secondo questo si dovrebbe pronunciare:

<tuttavia> [tutta'vi:a] ma
<anzitutto> [antsi'tut:to].

Cioè, in « tuttavia » la « tt » si pronuncia [tt],
ma in « anzitutto » si pronuncia [t:t]. (Secondo i
miei ricordi di testi di Canepari sull'italiano neutro.)

Riguardando la vocale precedente volevo citare:

»The tendency for a V preceding a long or geminate C to
be shorter than a corresponding V preceding a short C is
strongly non-systematic and influenced by different
variables (such as the type of the C, the
lexical/prosodic context etc.).«

Chiara Celata - Lidia Costamagna,
The acquisition of Italian L2 phonology: consonant gemination

¹) Caneparie scrive in 001_Generalita.pdf:

« Sia per l'esatta corrispondenza fonetica, che ha un
allungamento maggiore dopo la sillaba tonica (della tonia) »
Davide Pioggia
2014-08-01 11:35:10 UTC
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Post by Stefan Ram
»The tendency for a V preceding a long or geminate C to
be shorter than a corresponding V preceding a short C is
strongly non-systematic and influenced by different
variables (such as the type of the C, the
lexical/prosodic context etc.).«
Chiara Celata - Lidia Costamagna,
The acquisition of Italian L2 phonology: consonant gemination
Certo, Stefan, infatti anch'io avevo scritto questo (vedi il mio messaggio
del 30/7, ore 13.54):

Nell'italiano delle regioni centrali (o meglio in quello standard) è del
tutto normale che una consonante, quando si trova in un certi contesti
prosodici (segue una vocale accentata ecc.), si allughi.

Non intendevo enunciare una regola sistematica (le cose vanno diversamente
nei dialetti romagnoli). Anche nella trascrizione di Canepari che cito,
l'allugamento non è sistematico.

Il fenomeno che stiamo descrivendo è in parte connesso con quello descritto
da Jespersen qui:
https://archive.org/details/lehrbuchderphone00jespuoft
(pag. 198, §205 e segg.)

Non è la stessa cosa, ma sappi che Schürr, per descrivere il meccanismo
fonetico presente nei dialetti romagnoli, prende le mosse proprio dal
concetto di _fester Anschluss_ di Jespersen.

Già che ci siamo ti chiedo una cosa sul tedesco. Quando voi pronunciate una
vocale breve che è connessa alla consonante seguente da un "fester
Anschluss", si può avere un allungamento della consonante seguente, per lo
meno in alcune parlate regionali?
--
Saluti.
D.
Stefan Ram
2014-08-01 12:27:31 UTC
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Post by Davide Pioggia
Già che ci siamo ti chiedo una cosa sul tedesco. Quando voi pronunciate una
vocale breve che è connessa alla consonante seguente da un "fester
Anschluss", si può avere un allungamento della consonante seguente, per lo
meno in alcune parlate regionali?
Nel tedesco la brevità di una vocale può essere indicata da
un radoppiamento graphico della consonante seguente. Ma la
consonante radoppiata viene pronunciata tuttavia come una
consonante semplice e breve.

Per esempio:

<Miete> /mi:t@/
<Mitte> /mIt@/

No ci sono affatto « consonanti lunghe » nel tedesco. Non
sono consapevole di una regione in cui questo non vale, ma
io non conosco bene le pronunce regionali del tedesco.
Stefan Ram
2014-08-01 13:02:22 UTC
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Supersedes: <consonanti-doppie-***@ram.dialup.fu-berlin.de>
[radoppiamento->raddoppiamento, radoppiata -> raddoppiata]
Post by Davide Pioggia
Già che ci siamo ti chiedo una cosa sul tedesco. Quando voi pronunciate una
vocale breve che è connessa alla consonante seguente da un "fester
Anschluss", si può avere un allungamento della consonante seguente, per lo
meno in alcune parlate regionali?
Nel tedesco la brevità di una vocale può essere indicata da
un raddoppiamento graphico della consonante seguente. Ma la
consonante raddoppiata viene pronunciata tuttavia come una
consonante semplice e breve.

Per esempio:

<Miete> /mi:t@/
<Mitte> /mIt@/

No ci sono affatto « consonanti lunghe » nel tedesco. Non
sono consapevole di una regione in cui questo non vale, ma
io non conosco bene le pronunce regionali del tedesco.
Davide Pioggia
2014-08-01 15:27:42 UTC
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Post by Stefan Ram
Nel tedesco la brevità di una vocale può essere indicata da
un raddoppiamento graphico della consonante seguente. Ma la
consonante raddoppiata viene pronunciata tuttavia come una
consonante semplice e breve.
Già. Però il fatto che la grafia tradizionale indichi col raddoppiamento
della consonante seguente la brevità della vocale fa pensare che forse in
passato anche nel tedesco si aveva un allungamento della consonante in quel
contesto. Perché, altrimenti, i tuoi antenati avrebbero sentito il bisogno
di scrivere due consonanti?

Nel finlandese, dove la quantità vocalica è del tutto indipendente da quella
consonantica (si può avere VVCC, VVC, VCC, VC, come in latino, ed è una
delle poche lingue al mondo ad essere così "libera"), hanno messo a punto
una grafia in cui le vocali lunghe sono rappresentate raddoppiando la
vocale stessa. Per i finlandesi una vocale breve è una vocale breve, e la
quantità della consonante successiva non ha nulla a che vedere con la
brevità della vocale.

Invece i tuoi antenati hanno espresso l'opposizione quantitativa vocalica
"trasferendola" alla consonante successiva. Devi sapere che anche molti
autori romagnoli fanno istintivamente la stessa cosa. Siccome la grafia
dell'italiano ha abituato a scrivere solo le consonanti doppie, quando
devono esprimere certe opposizioni tendono a usare, appunto, il
raddoppiamento della consonante. Il sistema funziona spesso, ma
non va bene alla fine della parola o davanti a un'altra vocale.

(Il fatto che l'opposizione si mantenga anche alla fine della parola o
davanti a un'altra vocale dimostra, se ce ne fosse bisogno, che è proprio
la quantità vocalica a costituire il tratto oppositivo, e la variazione
della quantità consonantica è solo un automatismo consegnete,
anche se dalla grafia può sembrare il contrario).

Anche i milanesi, nella loro grafia tradizionale, alla fine della parola si
sono dovuti "rassegnare" a raddoppiare la vocale, mentre davanti a
consonante (o meglio: in sillaba chiusa) se le sono cavata raddoppiando la
consonante successiva alla vocale breve. E anche qui si pone lo stesso
interrogativo: come mai tutti questi popoli, adattando alla loro lingua
l'alfabero latino, hanno espresso, istintivamente, la brevità delle vocale
raddoppiando la consonante successiva? Io ho il sospetto che in Romagna si
siano semplicemente conservati degli automatismi che un tempo si trovavano
anche in altri dialetti settentrionali.
--
Saluti.
D.
Stefan Ram
2014-08-01 16:15:46 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Già. Però il fatto che la grafia tradizionale indichi col raddoppiamento
della consonante seguente la brevità della vocale fa pensare che forse in
passato anche nel tedesco si aveva un allungamento della consonante in quel
contesto. Perché, altrimenti, i tuoi antenati avrebbero sentito il bisogno
di scrivere due consonanti?
Nel medio alto-tedesco le consonanti scritte doppie infatti
vennero pronunciate ambidue (cioè, due volte). Ma non tutte
le consonanti raddoppiate oggi furono raddoppiate anche nel
medio alto-tedesco: Alcune volte sono scritte raddoppiate
oggi per esprimere il confine di due sillabe.
Stefan Ram
2014-08-01 16:41:37 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Già. Però il fatto che la grafia tradizionale indichi col raddoppiamento
della consonante seguente la brevità della vocale fa pensare che forse in
passato anche nel tedesco si aveva un allungamento della consonante in quel
contesto. Perché, altrimenti, i tuoi antenati avrebbero sentito il bisogno
di scrivere due consonanti?
Ci furono tre ragioni:

- assimilazione: come nu > nn, come in lat. minuo > mat. minner
(mat. = medio alto-tedesco)

- per differenziazione semantica

- la « geminazione consonantica di germania ovest »
(la cosiddetta »westgermanische Konsonantengemination«)
Una voce dalla Germania
2014-08-01 21:33:38 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Stefan Ram
Nel tedesco la brevità di una vocale può essere indicata da
un raddoppiamento graphico della consonante seguente. Ma la
consonante raddoppiata viene pronunciata tuttavia come una
consonante semplice e breve.
Già. Però il fatto che la grafia tradizionale indichi col raddoppiamento
della consonante seguente la brevità della vocale fa pensare che forse in
passato anche nel tedesco si aveva un allungamento della consonante in quel
contesto. Perché, altrimenti, i tuoi antenati avrebbero sentito il bisogno
di scrivere due consonanti?
Premessa: le mie conoscenze dell'antico e del medio tedesco
(prima di Lutero) sono trascurabili.
Però posso dirti che nel tedesco attuale il fatto che una
vocale è breve o lunga può essere indicato in diversi modi,
in parte invariati dal Medioevo:
- raddoppiando la consonante successiva (vocale breve)
- con due consonanti diverse consecutive (vocale breve)
- raddoppiando la vocale (vocale lunga)
- con una h dopo la vocale (vocale lunga)
- con una e dopo la vocale i (vocale lunga: bieten/bitten)
- in nessun modo (la pronuncia di bis e Biss è esattamente
identica)
Non garantisco che questo elenco sia completo.

Inoltre non so come i pochi tedeschi che sapevano leggere
pronunciavano le consonanti doppie nell'anno 1000 o 1500, ma
so che oggi non hanno quasi mai nella loro lingua la
differenza tra C e C: (anche nei pochi casi discutibili come
Betttuch sento due t consecutive e non una t doppia o
allungata) e ci ho messo alcuni anni per far capire a mia
moglie che la palla con cui giocano i bambini è una cosa
diversa da una pala.

Per concludere: sicuramente sai meglio di me come mai le
quantità vocaliche si sono perse nel passaggio dal latino
alle lingue neolatine, ma in tedesco la differenza fra
vocale breve (e quindi aperta) e vocale lunga (e quindi
chiusa) è spesso l'unico modo per distinguere due parole.
posi
2014-08-01 12:19:56 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by posi
Andiamo pure avanti, ora dimmi tu però: quante [t] senti in "tutta"
Io scrivo [tut:-ta] (per ora lasciamo stare la questione della [tS], anche
perché io la pronuncio "alla settentrionale", ed è piuttosto diversa dalla
tua).
Il suono [tS] è quello per tutti. Che poi nella mia pronuncia regionale
di "bacio" questo suono non compaia, mentre nell'italiano standard sì, è
un altro discorso.
Ad ogni modo, se la [tS] può creare confusione, possiamo prendere una
qualsiasi altra affricata, come la [ts] di "piazza", che io scriverei
[pjat:sa], ma probabilmente Canepari scriverebbe [pjatstsa].
Post by Davide Pioggia
Per giustificare questa grafia, dovremmo incontrarci, e provare a
pronunciare la prima sillaba, «tut». A meno che tu non abbia una buona
dimestichezza con lingue straniere come l'inglese, secondo me la
pronunceremmo in modo molto diverso. Tu probabilmente tenderesti ad
aggiungere una schwa finale, e potresti anche avere l'impressione che io non
aggiunga la [t] finale (infatti una [t] finale che non sia seguita da alcun
elemento vocalico per il tuo orecchio potrebbe risultare "troppo
silenziosa").
A pronunciarla nessun problema. Diciamo che senza l'aggiunta di una
schwa finale forse avrei difficoltà a distinguere ad orecchio tra [tuc]
e [tut], ma non ho fatto una prova. Probabilmente con un po' di
allenamento ci potrei riuscire.
Ho invece forti dubbi sul fatto che per te o chiunque altro sia
possibile distinguere tra [tut] e [tut:] quando la sillaba è isolata, e
senza una schwa finale. Ho l'impressione che tu ti basi in realtà sulla
lunghezza della [u] per inferire in maniera puramente teorica quella
della [t].
Post by Davide Pioggia
Una volta che ci fossimo messi d'accordo su come è fatta la sillaba «tut»,
forse potremmo concordare che io dico [tut:], e al quel punto non sarebbe
difficile rendersi conto che per dire «tutta» bisogna proprio aggiungere
[ta].
Invece io ritengo non solo difficile, ma impossibile stabilire se la
seconda sillaba sia proprio [ta] e non [a]. Ovvero è solo una questione
di convenzioni.
Valerio Vanni
2014-08-05 00:40:19 UTC
Permalink
Post by posi
Già qui avrei qualche obiezione: possiamo dire senz'altro che ci siano
due sillabe, ma il confine tra queste due sillabe è qualcosa di
piuttosto arbitrario: perché [tut-to] e non [tu-tto]?
L'unica ragione per supporre l'esistenza di due t è il particolare
inviluppo delle occlusive, che paradossalmente si possono sentire solo
nella fase di attacco e di rilascio, mentre per la maggior parte della
loro durata si ascolta solo silenzio.
Prendiamo un esempio più semplice, con una fricativa: asso. Per
sostenere che le sillabe siano [as-so], e quindi che ci siano due [s] e
non una sola [s] allungata è necessario dimostrare che ci sia
acusticamente una qualche separazione, anche solo accennata, tra queste
due s. Almeno un lieve calo di intensità.
Su questo mi trovo d'accordo. Nel suono ci sono una vocale, una lunga
consonante più o meno stabile e poi un'altra vocale.

Probabilmente le trascrizioni fonematiche prendono spunto dai casi più
certi, poi estendono la "regola" per analogia ai casi meno certi.
Post by posi
La cosa diventa ancora più evidente con le affricate, per esempio la
[tS], che hanno una fase di attacco simile ad un'occlusiva [t] e
nettamente diversa da quella di rilascio, che invece è simile ad una
fricativa [S], quindi diventa molto evidente la differenza tra
un'affricata lunga (che ha una fase di attacco allungata [t:S]) e due
affricate (dove si dovrebbero sentire distintamente i due attacchi
separati da un rilascio [tStS]).
Mi sembra evidente che in italiano usiamo la prima, eppure Canepari
scrive, per esempio [fatStSo] (faccio)
Secondo me su questo bisogna distinguere fra trascrizione fonetica e
fonematica. La fonematica tiene a marcare che nella parola ci sono due
/tS/.

La fonetica, qui, è molto più complessa. La seconda consonante è
sicuramente una /tS/, ma come consideriamo la prima?
Una /t/? Una /tS/ senza rilascio?
C'è differenza tra le due?

Prendiamo "fatto" e "faccio". Io, se mi fermo a metà parola (sulla
"non rilasciata"), sento una differenza. Se è /tS/ sento la lingua più
indietro e le labbra che si protudono.
Così come tra "patto" e "pazzo": sento la /ts/ appena più avanti (o
orse è solo una pressione maggiore?).

Ma il suono non c'è ancora: se mi fermo lì (o vengo teletrasportato
;-) ) non si sa come va avanti la parola.
Consideriamo l'intenzione (la propriocezione) o il risultato (cosa si
trova effettivamente nel suono prodotto)?

E questi sono tutti aspetti che cambiano da consonante a consonante:
con le occlusive sonore, già, qualcosa può arrivare anche in fase non
rilasciata.

Io, a livello propriocettivo, sento una differenza
--
Ci sono 10 tipi di persone al mondo: quelle che capiscono il sistema binario
e quelle che non lo capiscono.
posi
2014-08-05 02:43:02 UTC
Permalink
Post by Valerio Vanni
Post by posi
Già qui avrei qualche obiezione: possiamo dire senz'altro che ci siano
due sillabe, ma il confine tra queste due sillabe è qualcosa di
piuttosto arbitrario: perché [tut-to] e non [tu-tto]?
L'unica ragione per supporre l'esistenza di due t è il particolare
inviluppo delle occlusive, che paradossalmente si possono sentire solo
nella fase di attacco e di rilascio, mentre per la maggior parte della
loro durata si ascolta solo silenzio.
Prendiamo un esempio più semplice, con una fricativa: asso. Per
sostenere che le sillabe siano [as-so], e quindi che ci siano due [s] e
non una sola [s] allungata è necessario dimostrare che ci sia
acusticamente una qualche separazione, anche solo accennata, tra queste
due s. Almeno un lieve calo di intensità.
Su questo mi trovo d'accordo. Nel suono ci sono una vocale, una lunga
consonante più o meno stabile e poi un'altra vocale.
Probabilmente le trascrizioni fonematiche prendono spunto dai casi più
certi, poi estendono la "regola" per analogia ai casi meno certi.
Post by posi
La cosa diventa ancora più evidente con le affricate, per esempio la
[tS], che hanno una fase di attacco simile ad un'occlusiva [t] e
nettamente diversa da quella di rilascio, che invece è simile ad una
fricativa [S], quindi diventa molto evidente la differenza tra
un'affricata lunga (che ha una fase di attacco allungata [t:S]) e due
affricate (dove si dovrebbero sentire distintamente i due attacchi
separati da un rilascio [tStS]).
Mi sembra evidente che in italiano usiamo la prima, eppure Canepari
scrive, per esempio [fatStSo] (faccio)
Secondo me su questo bisogna distinguere fra trascrizione fonetica e
fonematica. La fonematica tiene a marcare che nella parola ci sono due
/tS/.
Io mi riferivo alla trascrizione fonetica, ma comunque il concetto vale
anche per quella fonematica: il principio della trascrizione fonematica
è che se non c'è opposizione si deve usare uno stesso simbolo, se c'è
opposizione si devono usare simboli diversi. Siccome in italiano abbiamo
coppie minime come "braci" e "bracci" si dovrebbe, in teoria, usare un
simbolo per /tS/ (in IPA è un unico simbolo) e un altro, diverso, per la
geminata. Se scriviamo /tStS/ sembra invece che si tratti di ripetere
due volte il fonema /tS/
Post by Valerio Vanni
La fonetica, qui, è molto più complessa. La seconda consonante è
sicuramente una /tS/, ma come consideriamo la prima?
Una /t/? Una /tS/ senza rilascio?
C'è differenza tra le due?
Potremmo considerarla una /tS/ senza rilascio, ma in questo modo stiamo
forzando notevolmente la cosa. E comunque è completamente diversa: una
/tS/ senza rilascio non è la stessa cosa di una /t/ ma sicuramente
assomiglia molto più a una /t/ che a una /tS/ completa!
Post by Valerio Vanni
Prendiamo "fatto" e "faccio". Io, se mi fermo a metà parola (sulla
"non rilasciata"), sento una differenza. Se è /tS/ sento la lingua più
indietro e le labbra che si protudono.
Certamente la l'attacco di [tS] è più arretrato della [t] normale, ma
basta segnarlo con l'apposito diacritico (una sorta di sottolineatura
sotto la t).
Post by Valerio Vanni
Così come tra "patto" e "pazzo": sento la /ts/ appena più avanti (o
orse è solo una pressione maggiore?).
A me veramente sembra il contrario, ma comunque ci sono anche in questo
caso diacritici per indicare con precisione la posizione della lingua
nella [t].
Post by Valerio Vanni
Ma il suono non c'è ancora: se mi fermo lì (o vengo teletrasportato
;-) ) non si sa come va avanti la parola.
Consideriamo l'intenzione (la propriocezione) o il risultato (cosa si
trova effettivamente nel suono prodotto)?
con le occlusive sonore, già, qualcosa può arrivare anche in fase non
rilasciata.
Io, a livello propriocettivo, sento una differenza
A mio parere che ciò che si sente solo a livello propriocettivo, non
solo non ha alcun valore fonematico, ma nemmeno fonetico.
Stefan Ram
2014-08-05 04:11:42 UTC
Permalink
Post by posi
Io mi riferivo alla trascrizione fonetica, ma comunque il concetto vale
anche per quella fonematica: il principio della trascrizione fonematica
è che se non c'è opposizione si deve usare uno stesso simbolo, se c'è
opposizione si devono usare simboli diversi. Siccome in italiano abbiamo
coppie minime come "braci" e "bracci" si dovrebbe, in teoria, usare un
simbolo per /tS/ (in IPA è un unico simbolo) e un altro, diverso, per la
geminata. Se scriviamo /tStS/ sembra invece che si tratti di ripetere
due volte il fonema /tS/
Anch'io ritengo « tStS » un solo simbolo e « tS » un altro
simbolo diverso; non ritengo « tStS » un seguenza di due « tS ».
Post by posi
Post by Valerio Vanni
Prendiamo "fatto" e "faccio". Io, se mi fermo a metà parola (sulla
"non rilasciata"), sento una differenza. Se è /tS/ sento la lingua più
indietro e le labbra che si protudono.
Certamente la l'attacco di [tS] è più arretrato della [t] normale, ma
basta segnarlo con l'apposito diacritico (una sorta di sottolineatura
sotto la t).
Infatti, Canepari scrive:

« [t] dentale » e
« [tS] postalveo-palato-prolabiato ».

Il che significa a me che anche la semi-t in [tS] è
già postalveo-palato-prolabiato e non dentale e che
Valerio ha un buon senso propriocettivo!
Stefan Ram
2014-08-05 08:31:36 UTC
Permalink
Supersedes: <tS-***@ram.dialup.fu-berlin.de>
["un"->"una"]
Post by posi
Io mi riferivo alla trascrizione fonetica, ma comunque il concetto vale
anche per quella fonematica: il principio della trascrizione fonematica
è che se non c'è opposizione si deve usare uno stesso simbolo, se c'è
opposizione si devono usare simboli diversi. Siccome in italiano abbiamo
coppie minime come "braci" e "bracci" si dovrebbe, in teoria, usare un
simbolo per /tS/ (in IPA è un unico simbolo) e un altro, diverso, per la
geminata. Se scriviamo /tStS/ sembra invece che si tratti di ripetere
due volte il fonema /tS/
Anch'io ritengo « tStS » un solo simbolo e « tS » un altro
simbolo diverso; non ritengo « tStS » una seguenza di due « tS ».
Post by posi
Post by Valerio Vanni
Prendiamo "fatto" e "faccio". Io, se mi fermo a metà parola (sulla
"non rilasciata"), sento una differenza. Se è /tS/ sento la lingua più
indietro e le labbra che si protudono.
Certamente la l'attacco di [tS] è più arretrato della [t] normale, ma
basta segnarlo con l'apposito diacritico (una sorta di sottolineatura
sotto la t).
Infatti, Canepari scrive:

« [t] dentale » e
« [tS] postalveo-palato-prolabiato ».

Il che significa a me che anche la semi-t in [tS] è
già postalveo-palato-prolabiato e non dentale e che
Valerio ha un buon senso propriocettivo!
posi
2014-08-05 11:00:39 UTC
Permalink
Post by Stefan Ram
["un"->"una"]
Post by posi
Io mi riferivo alla trascrizione fonetica, ma comunque il concetto vale
anche per quella fonematica: il principio della trascrizione fonematica
è che se non c'è opposizione si deve usare uno stesso simbolo, se c'è
opposizione si devono usare simboli diversi. Siccome in italiano abbiamo
coppie minime come "braci" e "bracci" si dovrebbe, in teoria, usare un
simbolo per /tS/ (in IPA è un unico simbolo) e un altro, diverso, per la
geminata. Se scriviamo /tStS/ sembra invece che si tratti di ripetere
due volte il fonema /tS/
Anch'io ritengo « tStS » un solo simbolo e « tS » un altro
simbolo diverso; non ritengo « tStS » una seguenza di due « tS ».
Sì, ma non è prevista in nessun modo, nemmeno in IPA, la possibilità di
indicare che le die tS debbano essere interpretare come un singolo
simbolo/fonema.
Valerio Vanni
2014-08-05 23:50:57 UTC
Permalink
Post by posi
Post by Valerio Vanni
Secondo me su questo bisogna distinguere fra trascrizione fonetica e
fonematica. La fonematica tiene a marcare che nella parola ci sono due
/tS/.
Io mi riferivo alla trascrizione fonetica, ma comunque il concetto vale
anche per quella fonematica: il principio della trascrizione fonematica
è che se non c'è opposizione si deve usare uno stesso simbolo, se c'è
opposizione si devono usare simboli diversi.
Anche se il fonema è lo stesso e cambia solo la lunghezza?
Post by posi
Siccome in italiano abbiamo
coppie minime come "braci" e "bracci" si dovrebbe, in teoria, usare un
simbolo per /tS/ (in IPA è un unico simbolo) e un altro, diverso, per la
geminata. Se scriviamo /tStS/ sembra invece che si tratti di ripetere
due volte il fonema /tS/
Più che altro manca un modo per indicare l'effettiva ripetizione del
suono, ma se è un caso non previsto dalla lingua la cosa diventa
superflua.
--
Ci sono 10 tipi di persone al mondo: quelle che capiscono il sistema binario
e quelle che non lo capiscono.
posi
2014-08-06 02:00:18 UTC
Permalink
Post by Valerio Vanni
Post by posi
Post by Valerio Vanni
Secondo me su questo bisogna distinguere fra trascrizione fonetica e
fonematica. La fonematica tiene a marcare che nella parola ci sono due
/tS/.
Io mi riferivo alla trascrizione fonetica, ma comunque il concetto vale
anche per quella fonematica: il principio della trascrizione fonematica
è che se non c'è opposizione si deve usare uno stesso simbolo, se c'è
opposizione si devono usare simboli diversi.
Anche se il fonema è lo stesso e cambia solo la lunghezza?
Il *fonema* di certo non è lo stesso, visto che esiste opposizione.
Semmai è il *fono*, ad essere lo stesso (cambia solo la lunghezza)
Post by Valerio Vanni
Post by posi
Siccome in italiano abbiamo
coppie minime come "braci" e "bracci" si dovrebbe, in teoria, usare un
simbolo per /tS/ (in IPA è un unico simbolo) e un altro, diverso, per la
geminata. Se scriviamo /tStS/ sembra invece che si tratti di ripetere
due volte il fonema /tS/
Più che altro manca un modo per indicare l'effettiva ripetizione del
suono, ma se è un caso non previsto dalla lingua la cosa diventa
superflua.
E' superflua a livello fonematico, se è un caso non previsto dalla
lingua. Ma livello fonetico non è tanto superflua.
Per esempio, supponiamo che a me interessi studiare la differenza tra
[altro] e [altddo] (dove [dd] indica realmente una ripetizione di due t,
ma con una durata molto breve!). L'IPA permetterebbe di trascrivere il
tutto con molta accuratezza, compresa la durata "molto breve". Ma
siccome qualcuno ha deciso di scrivere [dd] per indicare tutt'altro
(cioè [d:]) si creano ambiguità.
Maurizio Pistone
2014-08-06 07:50:43 UTC
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Post by posi
Io mi riferivo alla trascrizione fonetica, ma comunque il concetto vale
anche per quella fonematica: il principio della trascrizione fonematica
è che se non c'è opposizione si deve usare uno stesso simbolo, se c'è
opposizione si devono usare simboli diversi. Siccome in italiano abbiamo
coppie minime come "braci" e "bracci" si dovrebbe, in teoria, usare un
simbolo per /tS/ (in IPA è un unico simbolo) e un altro, diverso, per la
geminata. Se scriviamo /tStS/ sembra invece che si tratti di ripetere
due volte il fonema /tS/
forse /ttS/

l'allungamento della consonante riguarda la chiusura, non il rilascio
del suono
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it
Davide Pioggia
2014-08-05 09:07:41 UTC
Permalink
Post by Valerio Vanni
Probabilmente le trascrizioni fonematiche prendono spunto dai casi più
certi, poi estendono la "regola" per analogia ai casi meno certi.
Ammettiamo, tanto per ragionare, che sia veramente come dite, ovvero che non
vi sia un riscontro oggettivo del confine sillabico. Basta questo per
affermare, come fa posi, che «è solo una questione di convenzioni»?

Consideriamo, ad esempio, l'operazione di elevazione a potenza in
matematica. La definizione coi numeri interi positivi è ben nota:
2^3 = 2*2*2
cioè, in generale, si applica il seguente algoritmo (un loop):
n^m = moltiplichi n per sé stesso m volte

A questo punto vogliamo sapere quanto fa 2^0 o, più in generale, n^0.
Cosa significa «moltiplicare n per sé stesso 0 volte»? Com'è fatta una tale
procedura?

I matematici pongono:
n^0 = 1

Ebbene, questà è «solo una convenzione»?

Se vogliamo, può anche essere una convenzione (in fondo ogni definizione
è "convenzionale"), ma è una convenzione che "serve", e il fatto che una
certa convenzione "serva", mentre altre no, è un fatto oggettivo.

Ad esempio questa convenzione "serve" a generalizzare la seguente regola:
n^p / n^q = n^(p-q)

Infatti abbiamo il seguente caso particolare:
n^p / n^p = 1
e, se non avessimo definito n^0=1, ora non potremmo applicare la nostra
regola.

Tornando al nostro caso, è un fatto oggettivo che nelle sillabe caudate
(come "bis, tic tac, zig zag") la vocale accentata resta generalmente più
breve (con tutte le riserve che vogliamo legate al contesto prosodico, ma la
tendenza è quella), mentre in parole come "casa" la vocale accentata tende
ad allungarsi.

Allora, se è così (e anche posi diceva di riconoscere questo come fatto
oggettivo), se dico che in "casa" la "s" appartiene alla seconda sillaba, e
invece in "cassa" c'è un prima sillaba caudata che ha "s" come coda,
non è comunque «solo una convenzione». Se proprio la si vuole considerare
una convenzione, è l'avverbio «solo» che non risconosce le basi oggettive.

Questo, dicevo, volendo ammettere che non ci sia un riscontro oggettivo
alla suddivisione sillabica.

Ma è vero che non ci sono dei riscontri oggettivi?

Prendiamo dei bambini piccoli e spieghiamo solo cos'è una sillaba, facendo
loro degli esempi e confidando sulla loro capacità di astrazione. Possiamo
aiutarci col canto eccetera. Come dicevo, non forniamo alcuna definizione
astratta (e nemmeno "operativa"), ma ci limitiamo ad affidarci alla loro
capacità di astrazione a partire da un numero limitato di esempi concreti.

Quando ci sembra che i bambini abbiano "afferrato il concetto", li mettiamo
in stanze separate e chiediamo loro di sillabare una frase che non hanno mai
letto prima.

Se i bambini "hanno capito", quando escono dalle loro stanze avranno
sillabato nello stesso modo almeno nel 90% dei casi, e forse anche più
(magari non saranno tutti d'accordo su come sillabare "basta", anche se io
credo che la sillabazione "ba-sta", che alcuni affermano di percepire come
più naturale, sia indotta dal condizionamento scolastico).

Ora, se quei bambini escono tutti col 90% delle sillabazioni uguali, questo
sarà pure un fatto oggettivo, no?

Un'opinione è un'opinione, ma una prestazione è un fatto oggettivo.
Se io dico di poter saltare a un'altezza di tre metri e tu dici che non è
possibile, siamo nel campo delle opinioni. Ma se io dico di poter saltare
tre metri e salto tre metri, tu ti ritrovi a dover spiegare un fatto
oggettivo (una mia prestazione) che ritenevi impossibile. Ed esistono anche
le "prestazioni di gruppo", che vengono fornite da una comunità per il
semplice fatto di poter costuituire una comunità. Ebbene, noi qui ci
troviamo di fronte al fatto oggettivo dell'esistenza di una comunità di
bambini che possono superare il test che dicevo.

Se uno dicesse, a noi due, che i calcoli matematici sono solo fintamente
oggettivi, e che in realtà vengono fatti in modo del tutto arbitrario, noi
due potremmo chiedere di essere chiusi in stanze separate con lo stesso
problema matematico, e usciremmo con la stessa soluzione.

A questo punto colui che sostenesse che non c'è nulla di oggettivo nella
matematica dovrebbe trovare una spiegazione per quel fatto oggettivo.
Magari potrebbe dire che ci siamo messi d'accordo prima, che abbiamo
stabilito alcuni calcoli da fare, qualunque fosse il problema, e che ci
siamo
limitati a scrivere dei passaggi che avevamo imparato a memoria, senza
nemmeno leggere il testo del problema. Ma, come puoi immaginare, noi
potremmo organizzare facilmente degli "esperimenti" tali da superare anche
quest'ipotesi.
--
Saluti.
D.
Stefan Ram
2014-08-05 09:22:16 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Consideriamo, ad esempio, l'operazione di elevazione a potenza in
2^3 = 2*2*2
n^m = moltiplichi n per sé stesso m volte
A questo punto vogliamo sapere quanto fa 2^0 o, più in generale, n^0.
Cosa significa «moltiplicare n per sé stesso 0 volte»? Com'è fatta una tale
procedura?
n^0 = 1
Ma in »2²«, è veramente vero che in

2·2

si ha moltiplicato 2 « per sé stesso /due/ volte »?
Vedo solo un segno di moltiplicazione!

E in »2¹«,

2

è moltiplicato « per sé stesso una volta »?

Ho inventato una spiegazione più corretto e più semplice:

« 2^n significa: moltiplicare l'unità con 2 n volte ».

Da questo segue senza pensare:

2³ = 1 ·2·2·2
2² = 1 ·2·2
2¹ = 1 ·2
2° = 1

.
Davide Pioggia
2014-08-05 09:38:32 UTC
Permalink
Post by Stefan Ram
Ma in »2²«, è veramente vero che in
2·2
si ha moltiplicato 2 « per sé stesso /due/ volte »?
Sì, non mi sono espresso molto bene.
Comunque vedo che ci siamo capiti :-)
--
Saluti.
D.
Maurizio Pistone
2014-08-05 10:57:00 UTC
Permalink
Ma in »2"«, è veramente vero che in
2·2
e in 2^4,5?

oppure 2^pigreco? (non ho il simbolino)

eppure sono espressioni perfettamente lecite in matematica, e dal
significato univoco
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it
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http://blog.ilpugnonellocchio.it
ADPUF
2014-08-05 19:49:04 UTC
Permalink
Post by Maurizio Pistone
Ma in »2"«, è veramente vero che in
2·2
e in 2^4,5?
oppure 2^pigreco? (non ho il simbolino)
eppure sono espressioni perfettamente lecite in matematica, e
dal significato univoco
Le operazioni sui numeri naturali non sono sempre proprio le
stesse dei numeri reali.

Pensa alla sottrazione o alla divisione.

Qui nell'elevamento a potenza si ha una definizione iterativa
che va bene per gli (esponenti) interi ma che ovviamente non
vale più quando il numero di iterazioni non è intero o
addirittura è irrazionale.
--
°¿°
Stefan Ram
2014-08-05 09:34:50 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
nemmeno leggere il testo del problema. Ma, come puoi immaginare, noi
potremmo organizzare facilmente degli "esperimenti" tali da superare anche
quest'ipotesi.
Forse questo è adatto a questo tema:

http://www.phonetik.uni-muenchen.de/forschung/publikationen/MaryStevens/ICPhS2011.pdf

. È in inglese. Hanno misurato « stressed vowel duration
before short and long /p pp/ respectively , vedi sezione 4.
Maurizio Pistone
2014-08-05 10:56:59 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
magari non saranno tutti d'accordo su come sillabare "basta", anche se io
credo che la sillabazione "ba-sta", che alcuni affermano di percepire come
più naturale, sia indotta dal condizionamento scolastico
la divisione ba-sta discende da una regoletta ortografica pratica delle
maestre elementari:

"nella divisone in sillabe vanno insieme le consonanti che possiamo
trovare in inizio di parola"

quindi poiché estistono parole che iniziano con st- e con str-, quella
combinazione può essere scelta come inizio di sillaba: a-stu-to,
di-strat-to

invece in italiano non ci sono parole che iniziano con rc-, quindi
ar-co; così al-to, cam-po, con-to

la regola entra in crisi quando si tratta di sillabare parole di orgine
non italiana: amnesia? (da mnemo-); aptero?
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it
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Davide Pioggia
2014-08-05 11:03:35 UTC
Permalink
Post by Maurizio Pistone
la divisione ba-sta discende da una regoletta ortografica pratica
Io ritengo che la divisione naturale sia "bas-ta", e che la divisione
"ba-sta" derivi solo dalle regolette. Per quel che mi riguarda, alle
elementari mi sbagliavo sempre, e tutt'ora per non sbagliare mi devo
ricordare che la regola è l'opposto di quello che mi viene naturale.

Tuttavia hanno fatto delle indagini dalle quali emerge che per molti
italiani (mi pare circa la metà del campione) sarebbe più naturale "ba-sta".
Io ritengo che questo sia dovuto a un condizionamento scolastico, ma la loro
percezione vale quanto la mia, per cui prendo atto che questo è un caso in
cui la "prestazione oggettiva di gruppo" fallisce.
--
Saluti.
D.
Maurizio Pistone
2014-08-05 11:09:44 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Maurizio Pistone
la divisione ba-sta discende da una regoletta ortografica pratica
Io ritengo che la divisione naturale sia "bas-ta", e che la divisione
"ba-sta" derivi solo dalle regolette
infatti, è una regoletta ortografica, come quella che dice che devi
mettere l'acca in io ho tu hai egli ha ma non in noi abbiamo voi avete

effettivamente poi, le regolette ortografiche hanno una loro retroazione
sulla pronuncia, direi più in generale sulla percezione consapevole
della lingua; tutti sanno che si dice stazione e non stassione, perché
così è scritto; ma vai a chiedere agli italiani se la o di stazione è
aperta o chiusa, metà sgraneranno gli occhi di fronte ad una domanda per
loro incomprensibile, l'altra metà (ad essere ottimisti) ti daranno una
risposta variabile, spesso in modo puramente casuale
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it
Stefan Ram
2014-08-05 11:50:18 UTC
Permalink
Post by Maurizio Pistone
così è scritto; ma vai a chiedere agli italiani se la o di stazione è
aperta o chiusa, metà sgraneranno gli occhi di fronte ad una domanda per
loro incomprensibile, l'altra metà (ad essere ottimisti) ti daranno una
risposta variabile, spesso in modo puramente casuale
E tutti i manuali di lingua italiana per tedeschi dicono che
l'italiano si pronuncia come si scrive. Non hanno mai sentito
dell'ortoepia! Mi sembra che nella terminazione « -one »
la « o » è sempre chiuso.

Una sequenza difficile da pronunciare per me era: « con gli ».
Fino al momento in cui ho trovato che il « n » si
pronuncia come « gn » in « bagno » quando segue il « gl ».
Anche questo non si può leggere in « con gli ».
Davide Pioggia
2014-08-05 13:37:32 UTC
Permalink
Post by Stefan Ram
E tutti i manuali di lingua italiana per tedeschi dicono che
l'italiano si pronuncia come si scrive. Non hanno mai sentito
dell'ortoepia! Mi sembra che nella terminazione « -one »
la « o » è sempre chiuso.
In torinese non esiste l'opposizione fra [o] e [O], e il repertorio
fonologico dell'italiano regionale solitamente coincide con quello del
dialetto del luogo. Questo vale anche per le persone che non conoscono il
dialetto. Anzi, vale anche di più per le persone che non conscono il
dialetto. Tempo fa discutevo con dei ragazzi romagnoli piuttosto giovani,
che non solo non lo parlavano, ma addirittura faticavano a capirlo. Per
provocarli ho detto loro che non era vero che non sapevano parlare il
dialetto, visto che stavano usando una lingua che morfologicamente e
sintatticamente era (quasi) uguale all'italiano, ma foneticamente era
proprio il dialetto della loro città, per di più fermo alla metà del XIX
secolo, quando i loro bisnonni avevano imparato a parlare "italiano".
Siccome non ci credevano, li ho sfidati a ripetere qualche frase in italiano
standard (*). Non ci sono assolutamente riusciti. C'è voluto un quarto d'ora
solo per fargli sentire la differenza.

(*) Che poi anch'io non supererei un severo esame di ortoepia, ma siccome
sono ben consapevole della differenza, so cosa devo (o dovrei) fare per
"correggermi".
--
Saluti.
D.
ADPUF
2014-08-05 19:49:54 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Stefan Ram
E tutti i manuali di lingua italiana per tedeschi dicono
che l'italiano si pronuncia come si scrive. Non hanno mai
sentito dell'ortoepia! Mi sembra che nella terminazione «
-one » la « o » è sempre chiuso.
In torinese non esiste l'opposizione fra [o] e [O],
Credo anche in siciliano.
--
°¿°
Valerio Vanni
2014-08-06 00:10:08 UTC
Permalink
On Tue, 5 Aug 2014 15:37:32 +0200, "Davide Pioggia"
Post by Davide Pioggia
e il repertorio
fonologico dell'italiano regionale solitamente coincide con quello del
dialetto del luogo. Questo vale anche per le persone che non conoscono il
dialetto. Anzi, vale anche di più per le persone che non conscono il
dialetto. Tempo fa discutevo con dei ragazzi romagnoli piuttosto giovani
Tu dici "vale anche di più". I loro nonni quindi (che, suppongo,
conoscono e parlano il dialetto) parlano un Italiano meno marcato?

Qui da me è l'esatto contrario: le generazioni più anziane, quelle che
hanno parlato più il dialetto, sono quelle che mostrano un Italiano
più marcato. In particolare si notano, qui e là, degli accorciamenti
nelle doppie.
--
Ci sono 10 tipi di persone al mondo: quelle che capiscono il sistema binario
e quelle che non lo capiscono.
Davide Pioggia
2014-08-06 02:32:48 UTC
Permalink
Post by Valerio Vanni
Tu dici "vale anche di più". I loro nonni quindi (che, suppongo,
conoscono e parlano il dialetto) parlano un Italiano meno marcato?
No, più o meno sono uguali. Ma è vero che certe cose riesco a spiegarle
meglio a chi conoscere il dialetto, perché posso fare dei confronti.
--
Saluti.
D.
ADPUF
2014-08-05 19:49:26 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Maurizio Pistone
la divisione ba-sta discende da una regoletta ortografica
Io ritengo che la divisione naturale sia "bas-ta", e che la
divisione "ba-sta" derivi solo dalle regolette. Per quel che
mi riguarda, alle elementari mi sbagliavo sempre, e tutt'ora
per non sbagliare mi devo ricordare che la regola è l'opposto
di quello che mi viene naturale.
Ricordo che era uno degli "errori" più diffusi.
--
°¿°
Maurizio Pistone
2014-08-05 10:57:00 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Prendiamo dei bambini piccoli e spieghiamo solo cos'è una sillaba, facendo
loro degli esempi e confidando sulla loro capacità di astrazione. Possiamo
aiutarci col canto eccetera
questo del canto è l'esempio chiave, perché fa riferimento non a
definizioni astratte di che cos'è una vocale, cos'è una consonante ecc.
o a prove strumentali che più sono analitiche più sono lontane dalla
nostra esperienza (le nostre orecchie non sono dei campionatori, e i
nostri occhi non sono degli spettrometri)

così come nell'analisi dei singoli suoni quello che conta è il "fonema",
cioè non il suono fisico rilevabile strumentalmente, ma quell'insieme di
caratteri che all'interno di una ciascuna lingua si considerano
"distintivi" (per cui può capitare, per esempio, che i tratti per cui
noi italiani distinguiamo la b dalla p non siano gli stessi per cui le
distinguono gli anglofoni), allora io direi che "è sillaba quell'unità
che ogni lingua considera come tale"; una scansione sillabica come
quella che si fa nel canto è l'argomento principe

(Quante sillabe ha Trtst? quante sillabe ha "provincia"?)
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
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posi
2014-08-05 12:00:10 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Ebbene, questà è «solo una convenzione»?
Se vogliamo, può anche essere una convenzione (in fondo ogni definizione
è "convenzionale"), ma è una convenzione che "serve", e il fatto che una
certa convenzione "serva", mentre altre no, è un fatto oggettivo.
Ti faccio un esempio: l'insieme dei suoni che produciamo parlando è
infinito. Dividerlo in un insieme discreto e finito di fonemi è una
convenzione, diversa per ciascuna lingua.
Questa convenzione è indispensabile per l'esistenza stessa di una
lingua. Senza un insieme ben definito di fonemi non potrebbe esistere
una lingua parlata, così come senza un insieme ben definito di caratteri
non esisterebbe la lingua scritta.
La divisione in sillabe è altrettanto utile?
Post by Davide Pioggia
Tornando al nostro caso, è un fatto oggettivo che nelle sillabe caudate
(come "bis, tic tac, zig zag") la vocale accentata resta generalmente più
breve (con tutte le riserve che vogliamo legate al contesto prosodico, ma la
tendenza è quella), mentre in parole come "casa" la vocale accentata tende
ad allungarsi.
Ma se prima non mi dai una definizione oggettiva di sillaba, come fai a
dire che è un fatto "oggettivo" che le sillabe caudate abbiano una certa
proprietà?

Dovresti partire con una definizione, poi possiamo parlare delle
eventuali proprietà, poi analizzare e giustificare le eventuali
eccezioni. Infine dobbiamo vedere se queste proprietà valgono per tutte
le lingue (compreso il finlandese).

Io non ho ancora capito se la divisione in sillabe è da considerarsi una
questione *fonetica* o *fonematica*.
Nel primo caso i criteri di divisione in sillabe dovrebbero essere di di
validità universale, a prescindere dalla lingua. Nel secondo caso invece
mi aspetterei la presenza di coppie minime, cioè parole che hanno un
significato diverso a seconda di come siano divise in sillabe.

Da quello che mi sembra, al massimo si riesce a definire in maniera
univoca il numero di sillabe, ma non il modo in cui sono divise.
Post by Davide Pioggia
Ma è vero che non ci sono dei riscontri oggettivi?
Prendiamo dei bambini piccoli e spieghiamo solo cos'è una sillaba, facendo
loro degli esempi e confidando sulla loro capacità di astrazione. Possiamo
aiutarci col canto eccetera. Come dicevo, non forniamo alcuna definizione
astratta (e nemmeno "operativa"), ma ci limitiamo ad affidarci alla loro
capacità di astrazione a partire da un numero limitato di esempi concreti.
Quando ci sembra che i bambini abbiano "afferrato il concetto", li mettiamo
in stanze separate e chiediamo loro di sillabare una frase che non hanno mai
letto prima.
Se i bambini "hanno capito", quando escono dalle loro stanze avranno
sillabato nello stesso modo almeno nel 90% dei casi, e forse anche più
(magari non saranno tutti d'accordo su come sillabare "basta", anche se io
credo che la sillabazione "ba-sta", che alcuni affermano di percepire come
più naturale, sia indotta dal condizionamento scolastico).
Ora, se quei bambini escono tutti col 90% delle sillabazioni uguali, questo
sarà pure un fatto oggettivo, no?
Come esperimento può andar bene, ma perché sia ben fatto è necessario
fare attenzione ad alcuni punti:

- è fondamentale che i bambini siano *tutti* in età pre-scolastica e
comunque non siano stati esposti alle presunte "regole di sillabazione".
- nelle frasi che gli viene chiesto di sillabare non deve essere
presente nessuna delle sequenze di sillabe contenute negli esempi.


E' stato fatto un esperimento del genere?
Stefan Ram
2014-08-05 12:19:50 UTC
Permalink
Post by posi
Ti faccio un esempio: l'insieme dei suoni che produciamo parlando è
infinito. Dividerlo in un insieme discreto e finito di fonemi è una
convenzione, diversa per ciascuna lingua.
Ho fatto un'illustrazione di »ASCII art« per questo (già mesi fa):

|
|
|._ unità
| "-._ linguistiche
|,__ "-._
| """"---"-. [E]
| __,,..--"""
|"" .-"
| .-"
continuo | .-"
uditivo |-"
|._
| "-._
|,__ "-._
| """"---"-. [æ]
| __,,..--"""
|"" .-"
| .-"
| .-"
|-"
|
| corrispondenza
| percettiva



uditori francesi
.-------------------------------------------------------.
^ 400 F1/Hz |
| |
| |
| |
| |
| |
| E E |
| EE E E |
| E E E |
| E E E E E E |
| E EE E E |
| E |
| æ E E |
|,,,, æ E E E |
| .,,,,,,__ |
| ..,,,,,,,,,,,,,,,,.................,,,,,,,|
| E æ |
| æ |
| æ æ æ æ |
| æ æ æ |
| æ æ æ |
| æ |
| æ ææ |
| æ æ |
| ææ æ |
| æ |
| |
| |
| æ |
| |
| |
| |
| |
| |
| |
| |
| 1000 durata/ms |
'------------------------------------------------------>'
50 200

uditori inglesi
.-------------------------------------------------------.
^ 400 F1/Hz = |
| - |
| - |
| - |
| ,. |
| = |
| - |
| = |
| .- |
| E = |
| E -. |
| E .- |
| E = |
| E = |
| E E E E E E = |
| EE = |
|E E E = |
|E E E .= |
| E E ,= æ |
| E = |
| æ= æ |
| æ ,- æ æ æ |
| E = æ |
| -- æ |
| E æ = |
| E .= æ |
| E .= æ E æ æ |
| -- æ æ |
| -- æ |
| -- |
| ,-, æ |
| --. æ |
|.-- æ æ |
|. æ |
| æ æ |
| æ |
| 1000 durata/ms |
'------------------------------------------------------>' 1000
50 200
(secondo P. Escudero)
ADPUF
2014-08-05 19:49:42 UTC
Permalink
Post by Stefan Ram
Post by posi
Ti faccio un esempio: l'insieme dei suoni che produciamo
parlando è infinito. Dividerlo in un insieme discreto e
finito di fonemi è una convenzione, diversa per ciascuna
lingua.
Ho fatto un'illustrazione di »ASCII art« per questo (già
|
|
|._ unità
| "-._ linguistiche
|,__ "-._
| """"---"-. [E]
| __,,..--"""
|"" .-"
| .-"
continuo | .-"
uditivo |-"
|._
| "-._
|,__ "-._
| """"---"-. [æ]
| __,,..--"""
|"" .-"
| .-"
| .-"
|-"
|
| corrispondenza
| percettiva
uditori francesi
.-------------------------------------------------------.
^ 400 F1/Hz |
| |
| |
| |
| |
| |
| E E |
| EE E E |
| E E E |
| E E E E E E |
| E EE E E |
| E |
| æ E E |
|,,,, æ E E E |
| .,,,,,,__ |
| ..,,,,,,,,,,,,,,,,.................,,,,,,,|
| E æ |
| æ |
| æ æ æ æ |
| æ æ æ |
| æ æ æ |
| æ |
| æ ææ |
| æ æ |
| ææ æ |
| æ |
| |
| |
| æ |
| |
| |
| |
| |
| |
| |
| |
| 1000 durata/ms |
'------------------------------------------------------>'
50 200
uditori inglesi
.-------------------------------------------------------.
^ 400 F1/Hz = |
| - |
| - |
| - |
| ,. |
| = |
| - |
| = |
| .- |
| E = |
| E -. |
| E .- |
| E = |
| E = |
| E E E E E E = |
| EE = |
|E E E = |
|E E E .= |
| E E ,= æ |
| E = |
| æ= æ |
| æ ,- æ æ æ |
| E = æ |
| -- æ |
| E æ = |
| E .= æ |
| E .= æ E æ æ |
| -- æ æ |
| -- æ |
| -- |
| ,-, æ |
| --. æ |
|.-- æ æ |
|. æ |
| æ æ |
| æ |
| 1000 durata/ms |
'------------------------------------------------------>'
1000
50 200
(secondo P. Escudero)
Che bei grafici ASCII, come si producono?
--
°¿°
Stefan Ram
2014-08-06 08:39:22 UTC
Permalink
Post by ADPUF
Che bei grafici ASCII, come si producono?
Grazie! Li ho prodotti con lo stesso editor di testo che uso
anche per scrivere i miei altri messaggi, sempre comparando
con l'originale. Ha preso un po' di tempo, però.

Davide Pioggia
2014-08-05 13:27:26 UTC
Permalink
Post by posi
Ti faccio un esempio: l'insieme dei suoni che produciamo parlando è
infinito. Dividerlo in un insieme discreto e finito di fonemi è una
convenzione, diversa per ciascuna lingua.
Non sono d'accordo col tuo uso di "convenzione".

È vero che la suddivisione cambia da lingua a lingua, e che in Asia ci sono
delle lingue in cui [r] e [l] sono allofoni, ma tu ed io, che siamo di
madrelingua italiana, sentiamo benissimo l'opposizione fra /r/ e /l/, tant'è
che tu sai bene se sto dicendo «cara» o «cala», e questo è un fatto
oggettivo. Tu ed io non possiamo decidere, "convenzionalmente", che in
italiano [r] e [l] sono allofoni per l'italiano.
Post by posi
Ma se prima non mi dai una definizione oggettiva di sillaba
La sillaba è quella cosa su cui si trovano d'accordo il 90% dei bambini
canterini quando vengano chiusi in stanze separate a sillabare, dopo aver
mostrato loro un numero finito di esempi concreti di sillabazione e facendo
affidamento sulla loro capacità di astrazione.

La "definizione operativa" è fatta così:

1) si prendano una cinquantina di bambini canterini;

2) si mostrino loro alcuni esempi, dicendo loro che quella cosa lì,
qualunque cosa sia, si chiama "sillabazione" (per ora abbiamo solo un nome,
non una definizione; e comunque se non vuoi usare il nome in anticicipo
chiamala provvisoriamente in un altro modo - anche, se vuoi "quella cosa che
ho fatto io", tanto capiscono al volo, perché per loro fortuna non hanno
letto Aristotele);

3) si chudano i bambini eccetera eccetera

Fatto tutto ciò, si scopre che il 90% dei bambini sono d'accordo
nell'individuare i segmenti.

Questo è un fatto, una scoperta, come la scoperta che due gravi si attirano
con una forza che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza.

A questo punto sfruttiamo questa scoperta per definire la "sillaba": è quel
segmento su cui si trovano d'accordo il 90% dei bambini canterini quando si
proceda *operativamente* nel modo descritto qui sopra.

Analogamente, se uno ci sfidasse a dimostrare che esiste la lingua italiana,
potremmo fare così:

1) gli dimostriamo, con esperimenti in stanze separate, che tu ed io siamo
in grado di intenderci (e questo è un fatto);

2) per definizione chiamiamo "italiano" il codice verbale che ci consente di
intenderci.

Una bella definizione operativa, basata su una prestazione (che non è
un'opinione, né una "convenzione").
Post by posi
Dovresti partire con una definizione, poi possiamo parlare delle
eventuali proprietà
Già che ci sei, prova a darmi una bella definizione rigorosa di "punto" e
"retta". Tieni presente che per Aristotele non si può aprire bocca se prima
non si sono definiti gli "elementi". Quindi se vuoi venirmi a dire che la
geometria è una scienza esatta mi devi definire il punto senza nominare le
rette (e tanto meno le curve), e solo dopo aver definito il punto puoi
nominare le rette. Auguri eh :-)
Post by posi
Come esperimento può andar bene, ma perché sia ben fatto è necessario
- è fondamentale che i bambini siano *tutti* in età pre-scolastica e
comunque non siano stati esposti alle presunte "regole di
sillabazione". - nelle frasi che gli viene chiesto di sillabare non
deve essere presente nessuna delle sequenze di sillabe contenute
negli esempi.
E' stato fatto un esperimento del genere?
Tu sai bene che lo potrebbero superare. L'abbiamo fatto tutti nei primi anni
di scuola. Il maestro mi ha fatto qualche esempio (una decina? forse
venti?), e da quel momento sapevo benissimo come fare per andare a capo,
anche in centinaia di parole che non avevo mai visto prima (a parte "basta",
che mi veniva sempre corretta).
--
Saluti.
D.
Stefan Ram
2014-08-05 14:00:51 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Già che ci sei, prova a darmi una bella definizione rigorosa di "punto" e
"retta". Tieni presente che per Aristotele non si può aprire bocca se prima
non si sono definiti gli "elementi". Quindi se vuoi venirmi a dire che la
geometria è una scienza esatta mi devi definire il punto senza nominare le
rette (e tanto meno le curve), e solo dopo aver definito il punto puoi
nominare le rette. Auguri eh :-)
I punti si definisce proprio attraverso le sue relazioni con
le rette (nei assiomi di Hilbert). Dunque sarebbe difficile
definirli senza nominare le rette. Ma questo non significa
che la geometria non sia una scienza che usa termini ben
definiti. I concetti primitivi di un sistema assiomatico
possono essere definiti anche « implicitamente ».
Davide Pioggia
2014-08-05 14:23:59 UTC
Permalink
Post by Stefan Ram
I concetti primitivi di un sistema assiomatico
possono essere definiti anche « implicitamente ».
Certo, e anch'io in fondo sto facendo qualcosa di simile.
Dico che la sillaba, qualunque cosa sia, è una cosa che ha certe proprietà,
e
descrivo tali proprietà oggettive per mezzo delle prestazioni dei bambini
canterini.
--
Saluti.
D.
posi
2014-08-05 14:40:56 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by posi
Ti faccio un esempio: l'insieme dei suoni che produciamo parlando è
infinito. Dividerlo in un insieme discreto e finito di fonemi è una
convenzione, diversa per ciascuna lingua.
Non sono d'accordo col tuo uso di "convenzione".
È vero che la suddivisione cambia da lingua a lingua, e che in Asia ci sono
delle lingue in cui [r] e [l] sono allofoni, ma tu ed io, che siamo di
madrelingua italiana, sentiamo benissimo l'opposizione fra /r/ e /l/, tant'è
che tu sai bene se sto dicendo «cara» o «cala», e questo è un fatto
oggettivo. Tu ed io non possiamo decidere, "convenzionalmente", che in
italiano [r] e [l] sono allofoni per l'italiano.
I suoni [r] e [l] sono oggettivamente diversi. La convenzione semmai è
quella, per la lingua cinese, di *non* sentire queste differenze e
fingere che siano uguali.

Così come noi "fingiamo" che la /n/ di /anta/ sia uguale alla /n/ /anca/
pur non essendo, oggettivamente, così.
Sono convenzioni indispensabili per parlare una lingua, perché se ogni
volta che parliamo dovessimo fare attenzione a queste infinite (ma
inutili) sfumature non riusciremmo mai a comunicare.

In base al principio di economia, il numero di fonemi deve essere più
basso possibile, quindi, a meno che non sia indispensabile (cioè non ci
sia la presenza di coppie minime) si evita l'introduzione di nuovi fonemi.
Post by Davide Pioggia
Già che ci sei, prova a darmi una bella definizione rigorosa di "punto" e
"retta". Tieni presente che per Aristotele non si può aprire bocca se prima
non si sono definiti gli "elementi". Quindi se vuoi venirmi a dire che la
geometria è una scienza esatta mi devi definire il punto senza nominare le
rette (e tanto meno le curve), e solo dopo aver definito il punto puoi
nominare le rette. Auguri eh :-)
Non è che non possano esistere concetti primitivi (cioè non dotati di
definizione) o assiomi (affermazioni non dimostrate). L'importante è
elencarli in maniera molto chiara fin dall'inizio e specificarne una
volta per tutte le proprietà.
Senza il concetto di punto o di retta, la geometria non potrebbe esistere.

Senza il concetto di sillaba, non ho ancora trovato una sola coppia
minima che sarebbe impossibile da discriminare.
Post by Davide Pioggia
Post by posi
Come esperimento può andar bene, ma perché sia ben fatto è necessario
- è fondamentale che i bambini siano *tutti* in età pre-scolastica e
comunque non siano stati esposti alle presunte "regole di
sillabazione". - nelle frasi che gli viene chiesto di sillabare non
deve essere presente nessuna delle sequenze di sillabe contenute
negli esempi.
E' stato fatto un esperimento del genere?
Tu sai bene che lo potrebbero superare. L'abbiamo fatto tutti nei primi anni
di scuola. Il maestro mi ha fatto qualche esempio (una decina? forse
venti?), e da quel momento sapevo benissimo come fare per andare a capo,
anche in centinaia di parole che non avevo mai visto prima (a parte "basta",
che mi veniva sempre corretta).
Pensa un po' che invece io sbagliavo sempre le doppie, perché la [tt] di
[tutto] per me era un suono unico, pur essendo rappresentata con due
lettere, quindi era inconcepibile separarle.
Davide Pioggia
2014-08-05 15:04:45 UTC
Permalink
Post by posi
I suoni [r] e [l] sono oggettivamente diversi. La convenzione semmai è
quella, per la lingua cinese, di *non* sentire queste differenze e
fingere che siano uguali.
Anche [n] (alveolare) e [N] (velare) sono mostruosamente diverse (tant'è
che per in inglese c'è una bella differenza fra [sIn] e [sIN]), ma la
maggior parte degli italiani non è in grado di sentire la differenza.
Post by posi
Così come noi "fingiamo" che la /n/ di /anta/ sia uguale alla /n/
/anca/ pur non essendo, oggettivamente, così.
Non è che "fingiamo", ma è proprio che non sentiamo la differenza. Pochi
italiani cresciuti nelle regioni centrali sono in grado di dire, ad esempio,
se un emiliano-romagnolo stia pronciando [n] o [N]. Alcuni hanno imparato
"a memoria" che davanti a una consonante velare di solito c'è [N], ma nei
dialetti emiliano-romagnoli ci può essere [N] anche davanti alle consonanti
anteriori, e in posizione finale ci può essere [n] o [N]. In alcuni dialetti
emiliani si trova anche la sequenza [Nn], nei dialetti piemontesi si può
trovare [N] anche davanti a vocale eccetera eccetera. Se sottopongo qualche
decina di queste parole a un toscano che non abbia competenze ben superiori
a quelle che gli provengono dalla sua lingua madre, brancola nel buio.

Il fatto concreto che molti italiani non sentano la differenza fra [n] e
[N] dimostra oggettivamente che per la lingua italiana quelli sono due
allofoni. È un fatto, non una "convenzione".
Post by posi
Sono convenzioni indispensabili per parlare una lingua, perché se ogni
volta che parliamo dovessimo fare attenzione a queste infinite (ma
inutili) sfumature non riusciremmo mai a comunicare.
Come mai allora un inglese "fa attenzione" alla differenza fra [sIn] e
[sIN]? Guarda che "fa attenzione" anche un bambino inglese di quattro anni,
che non sa nulla di fonemi e allofoni.
Post by posi
In base al principio di economia, il numero di fonemi deve essere più
basso possibile, quindi, a meno che non sia indispensabile (cioè non
ci sia la presenza di coppie minime) si evita l'introduzione di nuovi
fonemi.
Ma questo "principio di economia" secondo te si applica solo ai nostri studi
di fonetica, o vale anche per il cervello di un bambino di quattro anni che
sta imparando a parlare l'italiano? Perché se vale anche per i bambini di
quattro anni è qualcosa di più d'una "convenzione"?
Post by posi
Pensa un po' che invece io sbagliavo sempre le doppie, perché la [tt]
di [tutto] per me era un suono unico, pur essendo rappresentata con
due lettere, quindi era inconcepibile separarle.
Dovendo mandare a capo un pezzo di «tutto»,
tu scrivevi «tutt-o» o «tu-tto»?

Posso sapere di dove sei?
--
Saluti.
D.
posi
2014-08-05 16:23:36 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by posi
I suoni [r] e [l] sono oggettivamente diversi. La convenzione semmai è
quella, per la lingua cinese, di *non* sentire queste differenze e
fingere che siano uguali.
Anche [n] (alveolare) e [N] (velare) sono mostruosamente diverse (tant'è
che per in inglese c'è una bella differenza fra [sIn] e [sIN]), ma la
maggior parte degli italiani non è in grado di sentire la differenza.
Post by posi
Così come noi "fingiamo" che la /n/ di /anta/ sia uguale alla /n/
/anca/ pur non essendo, oggettivamente, così.
Non è che "fingiamo", ma è proprio che non sentiamo la differenza.
Se non la sentiamo non è perché abbiamo qualche limitazione a livello di
udito, ma perché da piccoli abbiamo *imparato* a non sentirla, e una
volta superata l'età di quattro o cinque anni diventa molto difficile
riuscire a disimparare questa cosa.
Ovviamente con un certo sforzo di concentrazione possiamo riuscire a
distinguerli, ma non lo facciamo in maniera istintiva.
Gran parte dell'apprendimento consiste nell'imparare a *confondere* più
che imparare a *distinguere*.
Post by Davide Pioggia
Pochi
italiani cresciuti nelle regioni centrali sono in grado di dire, ad esempio,
se un emiliano-romagnolo stia pronciando [n] o [N]. Alcuni hanno imparato
"a memoria" che davanti a una consonante velare di solito c'è [N], ma nei
dialetti emiliano-romagnoli ci può essere [N] anche davanti alle consonanti
anteriori, e in posizione finale ci può essere [n] o [N]. In alcuni dialetti
emiliani si trova anche la sequenza [Nn], nei dialetti piemontesi si può
trovare [N] anche davanti a vocale eccetera eccetera.Se sottopongo qualche
decina di queste parole a un toscano che non abbia competenze ben superiori
a quelle che gli provengono dalla sua lingua madre, brancola nel buio.
Se per gli emiliani non è così, vuol dire che probabilmente nei dialetti
emiliani questa distinzione ha un valore fonologico. Ci sono coppie minime?
Post by Davide Pioggia
Il fatto concreto che molti italiani non sentano la differenza fra [n] e
[N] dimostra oggettivamente che per la lingua italiana quelli sono due
allofoni. È un fatto, non una "convenzione".
Non la sentono perché hanno imparato a non sentirla, non certo per
qualcosa di innato.
Post by Davide Pioggia
Post by posi
Sono convenzioni indispensabili per parlare una lingua, perché se ogni
volta che parliamo dovessimo fare attenzione a queste infinite (ma
inutili) sfumature non riusciremmo mai a comunicare.
Come mai allora un inglese "fa attenzione" alla differenza fra [sIn] e
[sIN]? Guarda che "fa attenzione" anche un bambino inglese di quattro anni,
che non sa nulla di fonemi e allofoni.
Perché nella lingua inglese c'è opposizione tra [n] e [N].
Anche se nessuno glielo spiega esplicitamente, al bambino sarà capitato
di sentire le parole "sing" e "sin" e accorgersi dal contesto che sono
parole diverse, con significati completamente diversi (tieni presente
che i bambini ascoltano molto, anche quando ancora non parlano).
Dal momento che la [s] e la [i] sono le stesse, deducono che la
differenza tra [n] e [N] (che ovviamente sentono, perché non sono sordi)
è significativa.

Al tempo stesso si rendono conto che le invece le differenze tra la
lunghezza delle consonanti non sono significative, e quindi imparano ad
ignorarla. Lo stesso vale per il tono.
Post by Davide Pioggia
Post by posi
In base al principio di economia, il numero di fonemi deve essere più
basso possibile, quindi, a meno che non sia indispensabile (cioè non
ci sia la presenza di coppie minime) si evita l'introduzione di nuovi
fonemi.
Ma questo "principio di economia" secondo te si applica solo ai nostri studi
di fonetica, o vale anche per il cervello di un bambino di quattro anni che
sta imparando a parlare l'italiano? Perché se vale anche per i bambini di
quattro anni è qualcosa di più d'una "convenzione"?
La convenzione non è il principio di economia. La convenzione è quali e
quanti fonemi scegliere, e come disporre i "confini" tra un fonema e
l'altro.
Inoltre, quando ho scritto che il numero di fonemi deve essere più basso
possibile, mi riferivo al fatto di escludere i fonemi "inutili" (quelli
per i quali non esistono coppie minime). Il numero di fonemi "utili"
invece può essere anche abbastanza alto.
Post by Davide Pioggia
Post by posi
Pensa un po' che invece io sbagliavo sempre le doppie, perché la [tt]
di [tutto] per me era un suono unico, pur essendo rappresentata con
due lettere, quindi era inconcepibile separarle.
Dovendo mandare a capo un pezzo di «tutto»,
tu scrivevi «tutt-o» o «tu-tto»?
Ovviamente "sempre" è un po' esagerato, anche perché tutto sommato la
regoletta per le doppie è semplice e facile da applicare, ma diciamo che
ho faticato a mandarla giù, così come quella per la s.
Ho anche il forte sospetto che nell'ipotetico tuo esperimento la
maggioranza dei bambini scriverebbero tutt-o o tu-tto, a meno che non
abbiano prima ricevuto una buona dose di "bacchettate".
Post by Davide Pioggia
Posso sapere di dove sei?
Sono umbro.
Davide Pioggia
2014-08-05 16:37:49 UTC
Permalink
Post by posi
Se non la sentiamo non è perché abbiamo qualche limitazione a livello
di udito, ma perché da piccoli abbiamo *imparato* a non sentirla, e
una volta superata l'età di quattro o cinque anni diventa molto difficile
riuscire a disimparare questa cosa.
Sì, ma non è che l'abbiamo imparato "per convenzione". L'abbiamo imparato
perché in italiano la distribuzione di [n] e [N] e complementare, e quindi
il nostro cervello non ha bisogno di imparare ad opporre fonologicamente [n]
e [N] per riconoscere le parole. Non avendone bisogno, non sviluppa quella
facoltà. Sono tutti fatti oggettivi, non convenzioni.
Post by posi
Se per gli emiliani non è così, vuol dire che probabilmente nei
dialetti emiliani questa distinzione ha un valore fonologico.
Ci sono coppie minime?
Certo. Vedi ad esempio qui:
http://www.bulgnais.com/fonetica.html
le prime righe del capitolo "Nasali".
Post by posi
Non la sentono perché hanno imparato a non sentirla, non certo per
qualcosa di innato.
E hanno imparato a non sentirla perché la loro lingua, *oggettivamente*, è
fatta in un certo modo.
Post by posi
Perché nella lingua inglese c'è opposizione tra [n] e [N].
Anche se nessuno glielo spiega esplicitamente, al bambino sarà
capitato di sentire le parole "sing" e "sin" e accorgersi dal contesto che
sono
parole diverse, con significati completamente diversi
Bene. Quindi questo è un fatto oggettivo, non una convenzione. Il bambino
inglese non potrebbe, per ragioni oggettive, trattare quei due foni come
allofoni.
Post by posi
La convenzione non è il principio di economia. La convenzione è quali
e quanti fonemi scegliere, e come disporre i "confini" tra un fonema e
l'altro.
Inoltre, quando ho scritto che il numero di fonemi deve essere più
basso possibile, mi riferivo al fatto di escludere i fonemi "inutili"
(quelli per i quali non esistono coppie minime). Il numero di fonemi
"utili" invece può essere anche abbastanza alto.
Sì, ma non mi hai detto se secondo te tutto ciò è solo nella testa dei
linguisti, oppure se corrisponde a qualcosa di oggettivo che c'è anche nella
testa di un bambino di quattro anni.
--
Saluti.
D.
posi
2014-08-05 18:15:05 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by posi
Se non la sentiamo non è perché abbiamo qualche limitazione a livello
di udito, ma perché da piccoli abbiamo *imparato* a non sentirla, e
una volta superata l'età di quattro o cinque anni diventa molto difficile
riuscire a disimparare questa cosa.
Sì, ma non è che l'abbiamo imparato "per convenzione". L'abbiamo imparato
perché in italiano la distribuzione di [n] e [N] e complementare, e quindi
il nostro cervello non ha bisogno di imparare ad opporre fonologicamente [n]
e [N] per riconoscere le parole. Non avendone bisogno, non sviluppa quella
facoltà. Sono tutti fatti oggettivi, non convenzioni.
Se la parola "convenzione" crea problemi, proviamo a metterla in
quest'altro modo: in linguistica è essenziale chiarire se i discorsi che
si fanno riguardano i suoni o i fonemi.

Nel primo caso si usano le parentesi quadre e si cerca di indicare il
suono in maniera più precisa possibile, a prescindere dalla lingua che
si sta usando. Quando tu dici che [n] e [N] sono mostruosamente diverse,
vuoi dire che i *suoni* (o foni) sono diversi. Questa differenza è
qualcosa di misurabile, verificabile sperimentalmente attraverso
un'analisi dello spettrogramma o della radiografia di un parlatore, a
prescindere dalla lingua che si parla. Volendo fare un parallelo con la
scrittura, possiamo dire che allo stesso modo la lettera "P" scritta col
font Times New Roman è diversa dalla lettera "P" scritta col col Arial.
Se quello che consideriamo è l'immagine, non importa che le due immagini
interpretate come lettere dell'alfabeto latino corrispondano entrambe
alla lettera P, quello che conta è che sono oggettivamente immagini
diverse.

Nel secondo caso invece si usano le barre. Ogni volta che si fa una
trascrizione fonematica è necessario specificare quale lingua si sta
considerando, e si potrà così dare per sotto-inteso, per esempio, che il
fonema /n/ sarà realizzato col suono [n] o [N] a seconda della posizione
nella parola, oppure che /batSo/ sarà pronunciato [batSo] o [baSo] a
seconda della regione di provenienza del parlatore. Quando si usa questo
tipo di trascrizione evidentemente non serve, non è utile fare
attenzione a questi particolari che finirebbero solo per appesantire la
lettura. E' come dire "qui c'è una P, visualizzala col font che
preferisci... l'importante è che sia una P". In questo caso è necessario
scegliere un ben preciso insieme di oggetti chiamati "lettere", e ci
sono criteri precisi per farlo: per esempio, se abbiamo stabilito di
usare l'alfabeto italiano, tu non puoi dire che la i col puntino e la i
senza puntino siano due lettere mostruosamente diverse: è vero che
visivamente ci sono delle differenze oggettive, ma in italiano sono la
stessa lettera. In turco no, ma in italiano sì. In questo senso l'ho
definita una convenzione: nel momento in cui tu dichiari che quanto
scrivi vale solo per la lingua italiana e quindi dai per scontate una
serie di cose che si verificano con la lingua italiana (ma non
necessariamente in tutte le lingue) stai applicando una convenzione.

Ora veniamo alla questione della sillabazione: quello che vorrei sapere
è se si tratta di una questione fonetica o fonematica. Se i criteri che
esponi hanno una validità universale o solo italiana.
Post by Davide Pioggia
Post by posi
La convenzione non è il principio di economia. La convenzione è quali
e quanti fonemi scegliere, e come disporre i "confini" tra un fonema e
l'altro.
Inoltre, quando ho scritto che il numero di fonemi deve essere più
basso possibile, mi riferivo al fatto di escludere i fonemi "inutili"
(quelli per i quali non esistono coppie minime). Il numero di fonemi
"utili" invece può essere anche abbastanza alto.
Sì, ma non mi hai detto se secondo te tutto ciò è solo nella testa dei
linguisti, oppure se corrisponde a qualcosa di oggettivo che c'è anche nella
testa di un bambino di quattro anni.
La lingua, pur essendo un sistema di convenzioni, è comunque qualcosa
che puoi misurare, per esempio con esperimenti tipo quello che hai
descritto.
Purché si facciano veramente... finché ci limitiamo ad immaginarli e non
c'è nemmeno accordo su quali potrebbero essere i risultati li vedo
difficili da usare come definizione.
Davide Pioggia
2014-08-05 19:11:02 UTC
Permalink
Se la parola "convenzione" crea problemi...
Crea grossi problemi, perché per il Treccani una "convenzione" è un
«Accordo, patto stretto fra due o più persone...»

Ora, qui non c'è nessuno che si sia messo d'accordo. Se domani mattina gli
italiani decidessero di mettersi d'accordo per introdurre il fonema /N/
nella loro lingua, in opposizione fonologica a /n/, e magari facessimo anche
una legge in Parlamento, ben pochi potrebbero rispettare quell'accordo,
perché la maggior parte degli italiani non è in grado di cogliere
l'opposizione fra /n/ e /N/.

Ci sono dei fatti oggettivi: la lingua italiana è fatta in un certo modo, e
noi doppiamo mettere a punto un apparato teorico che sia in grado di
descriverla, ma non possiamo "metterci d'accordo", a mo' di "convenzione"
su quali debbano essere i fonemi della lingua italiana. Sono quelli che
sono.
Se metti a punto una teoria che li descrive in modo adeguato, bene,
altrimenti hai una teoria inaguata, che non descrive la realtà dei fatti.
Ovviamente la teoria può essere costruita in un quadro teorico completamente
diverso da quello proposto dalla fonologia, ma comunque dev'essere una
teoria capace di descrivere la realtà dei fatti.
Nel secondo caso invece si usano le barre. Ogni volta che si fa una
trascrizione fonematica è necessario specificare quale lingua si sta
considerando
Certo che lo devi specificare, perché ogni lingua ha la propria fonologia.

Ma questa dipendenza non è una "convenzione". Ciò che è comune a tutti gli
esseri umani di solito si definire "naturale", mentre ciò che può variare da
una comunità umana all'altra (nello spazio e nel tempo) si dice "culturale".
Ma "culturale" non significa mica "convenzionale"!

Tu non puoi "metterti d'accordo" con gli altri membri della comunità per
decidere "a tavolino" quali sono e quali devono o non devono essere i
fattori culturali che determinano (e hanno determinato "epigeneticamente")
il vostro modo di essere. Sono quelli che sono. Certo, si può agire su
alcuni di quei fattori. Se veramente decidessimo, tutti assieme, di
introdurre un nuovo fonema nella lingua italiana, forse in una generazione o
due potremmo farcela. Ma ci sarebbe comunque una realtà oggettiva con la
quale confrontarsi per poterla cambiare.
La lingua, pur essendo un sistema di convenzioni
Ma un bambino di quattro anni che parla l'italiano si è "messo d'accordo"
con i genitori per stabilire quale dev'essere il repertorio fonologico del
loro codice lingustico?
Purché si facciano veramente...
Scusa, ma veramente pensi che ci sia bisogno di un esperimento in grande
stile per appurare che tutti i bambini imparano ad "andare a capo" in un
numero potenzialmente infinito di casi, a partire da un numero finito di
esempi? Come fanno a ricavare un'informazione potenzialmente infinita da
un'informazione finita?

Dal momento che accade, è la teoria che deve spiegare questo fatto.
--
Saluti.
D.
posi
2014-08-05 21:15:03 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Se la parola "convenzione" crea problemi...
Crea grossi problemi, perché per il Treccani una "convenzione" è un
«Accordo, patto stretto fra due o più persone...»
Un accordo può essere anche tacito. Se siamo tutti d'accordo che la
combinazione di suoni /casa/ identifica un edificio adibito ad
abitazione si tratta di una convenzione: non c'è niente che lega questi
suoni al loro significato. Il fatto che qualcuno metta o no per iscritto
su un vocabolario questa convenzione è irrilevante.
Post by Davide Pioggia
Ora, qui non c'è nessuno che si sia messo d'accordo. Se domani mattina gli
italiani decidessero di mettersi d'accordo per introdurre il fonema /N/
nella loro lingua, in opposizione fonologica a /n/, e magari facessimo anche
una legge in Parlamento, ben pochi potrebbero rispettare quell'accordo,
perché la maggior parte degli italiani non è in grado di cogliere
l'opposizione fra /n/ e /N/.
E' ben difficile che certi cambiamenti possano avvenire da un giorno
all'altro: in genere servono secoli. E comunque è chiaro che
l'introduzione dell'opposizione fonologica vada di pari passo con la
capacità dei parlanti di cogliere tale opposizione, mi sembra lapalissiano.
Post by Davide Pioggia
Ci sono dei fatti oggettivi: la lingua italiana è fatta in un certo modo, e
noi doppiamo mettere a punto un apparato teorico che sia in grado di
descriverla, ma non possiamo "metterci d'accordo", a mo' di "convenzione"
su quali debbano essere i fonemi della lingua italiana. Sono quelli che
sono.
Se metti a punto una teoria che li descrive in modo adeguato, bene,
altrimenti hai una teoria inaguata, che non descrive la realtà dei fatti.
Ovviamente la teoria può essere costruita in un quadro teorico completamente
diverso da quello proposto dalla fonologia, ma comunque dev'essere una
teoria capace di descrivere la realtà dei fatti.
esatto
Post by Davide Pioggia
La lingua, pur essendo un sistema di convenzioni
Ma un bambino di quattro anni che parla l'italiano si è "messo d'accordo"
con i genitori per stabilire quale dev'essere il repertorio fonologico del
loro codice lingustico?
Certo. Qual è il problema?
Non vale solo per la fonologia, ma anche la grammatica e la sintassi.
Dal momento che l'italiano è una lingua già formata, il suo "mettersi
d'accordo" si limita semplicemente al prendere atto di convenzioni già
esistenti e adeguarsi. Se invece dell'italiano gli fai ascoltare un
pigdin, avrà un ruolo ben più attivo nel trasformarlo in una lingua creola.
Post by Davide Pioggia
Purché si facciano veramente...
Scusa, ma veramente pensi che ci sia bisogno di un esperimento in grande
stile per appurare che tutti i bambini imparano ad "andare a capo" in un
numero potenzialmente infinito di casi, a partire da un numero finito di
esempi? Come fanno a ricavare un'informazione potenzialmente infinita da
un'informazione finita?
I bambini a scuola imparano un'insieme di "regole" per andare a capo. Le
imparano a suon di "bacchettate". Tra queste regole c'è anche quella
della "s", che a te non piace, e non piace neanche a me, ma ha una sua
logica.
Una volta imparate, le applicano a tutte le parole.
Fin qui non ho obiezioni.

Ora io dico che queste regole sono qualcosa che il bambino fa in maniera
istintiva, ma sono delle pure convenzioni ortografiche elaborate per
disturbare il meno possibile la lettura (che comunque viene disturbata
in ogni caso nel momento in cui la parola viene spezzata) e per fortuna
sono anche anacronistiche perché con i moderni sistemi di videoscrittura
e di stampa non c'è più bisogno della divisione in sillabe per andare a
capo.
Klaram
2014-08-05 18:18:23 UTC
Permalink
Post by posi
Se per gli emiliani non è così, vuol dire che probabilmente nei dialetti
emiliani questa distinzione ha un valore fonologico. Ci sono coppie minime?
In piemontese ci sono: pa/N/, pane; pa/n/, panno; to/N/ suono onomat.,
to/n/, tonno ecc.

In certe varianti c'è anche Nn, come in romagnolo: galiN-na, luN-na.
Per pronunciarle bisogna allungare molto la vocale.

k
Klaram
2014-08-05 17:58:16 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by posi
I suoni [r] e [l] sono oggettivamente diversi. La convenzione semmai è
quella, per la lingua cinese, di *non* sentire queste differenze e
fingere che siano uguali.
Noi, diretti discendenti degli antichi Liguri, abbiamo [r], [l], e [R]
che assomiglia alla r inglese, e può stare al posto sia di r sia di l.

Questo fa sì che solo nelle nostre varianti "stella" e "sera" siano in
rima.
In koiné: stella = "steila", sera = "seira"; da noi steiRa e seiRa.
:-)
Post by Davide Pioggia
Anche [n] (alveolare) e [N] (velare) sono mostruosamente diverse (tant'è
che per in inglese c'è una bella differenza fra [sIn] e [sIN]), ma la maggior
parte degli italiani non è in grado di sentire la differenza.
Quante volte, in televisione, sento in finale di parola [n] invece di
[N], persino in parole francesi!

Un tale, che forse voleva passare per piemontese, rivelò
immediatamente le sue origini non settentrionali, con un "bòja ca/n/".
:-)

k
ADPUF
2014-08-05 19:50:08 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
In alcuni dialetti
emiliani si trova anche la sequenza [Nn],
Anche in friulano "in-nulât" (annuvolato)
--
°¿°
Valerio Vanni
2014-08-06 00:03:17 UTC
Permalink
On Tue, 5 Aug 2014 11:07:41 +0200, "Davide Pioggia"
Post by Davide Pioggia
Ammettiamo, tanto per ragionare, che sia veramente come dite, ovvero che non
vi sia un riscontro oggettivo del confine sillabico.
Io dico che in alcuni casi c'è un riscontro acustico diretto (lo
stacco tra la prima e la seconda consonante), in altri no. In "asso"
non c'è.
Post by Davide Pioggia
Allora, se è così (e anche posi diceva di riconoscere questo come fatto
oggettivo), se dico che in "casa" la "s" appartiene alla seconda sillaba, e
invece in "cassa" c'è un prima sillaba caudata che ha "s" come coda,
non è comunque «solo una convenzione».
Su questo ti do ragione. Stai però ricavando l'informazione da un
altro fattore (la lunghezza della vocale), quello diretto manca.

Penso, insomma, che i bambini dell'esperimento possano tirare fuori
più "a-sso" che "a-tto".
--
Ci sono 10 tipi di persone al mondo: quelle che capiscono il sistema binario
e quelle che non lo capiscono.
Davide Pioggia
2014-08-05 09:35:55 UTC
Permalink
Post by Valerio Vanni
Prendiamo "fatto" e "faccio". Io, se mi fermo a metà parola (sulla
"non rilasciata"), sento una differenza. Se è /tS/ sento la lingua più
indietro e le labbra che si protudono.
Ma certo che è così. Magari la protrusione labiale non è la stessa per tutti
(varia da regione a regione), ma non conosco nessuno che attacca [t] e [tS]
puntando la lingua esattamente nello stesso punto.
Post by Valerio Vanni
Così come tra "patto" e "pazzo": sento la /ts/ appena più avanti (o
orse è solo una pressione maggiore?).
Qui la faccenda è un po' più complicata. Nelle regioni settentrionali non
abbiamo una vera e propria affricata, ma pronunciamo piuttosto la seguenza.
Io, ad esempio, pronuncio la sequenza, con l'unica particolarità che la
seconda non è una vera e propria [s], ma una [th] (non è solcata). Quindi
l'attacco per me è certamente lo stesso.

Ma anche per te dubito che ci sia veramente una differenza nella posizione
dell'attacco.

Il fatto centrale della questione è che un'affricata non è una sequenza. Io,
che non riesco a pronunciare l'affricata [ts], sento bene la differenza,
perché i toscani e i romani pronunciano "una sola consonante" dove io
pronuncio la sequenza. Per cui mi fa specie sentire un toscano o un romano
sostenere che egli pronuncia [ts] cominciando col pronunciare una [t].
Sono io che faccio questo, non loro.

Questa cosa, peraltro, mi capita spesso con i dialetti romagnoli. Ci sono
alcune vocali di alcuni dialetti romagnoli che io non so pronunciare. Ora, i
diretti interessati possono pensare che una certa "e" sia uguale a tutte le
altre "e" (alcuni dialetti ne hanno fino a 5), ma io non potrei sbagliarmi
nemmeno se fossi mezzo sordo, perché fra quelle "e" ce ne può essere una che
io non so pronunciare, e questo è un fatto dannatamente oggettivo. Mi è
capitato, tempo fa, di avere delle discussioni con un autore/parlante, che
si sono protratte per diversi giorni, e quando si parlava delle vocali del
suo dialetto, io pronunciavo quelle che sapevo pronunciare bene, mentre alla
"e" che non sapevo pronunciare mi riferivo dicendo appunto «quella "e" che
non so pronunciare», chiedendo ogni volta a lui di pronunciare la parola.
Dopo un po' di questa tiritera, lui ha capito qual era la vocale che non
sapevo pronunciare, e si è ritrovato che sapeva indovinare senza fallo quali
erano le parole che io non potevo pronunciare. A questo punto aveva capito
la differenza fra quella "e" e tutte le altre!
--
Saluti.
D.
Valerio Vanni
2014-08-06 00:31:29 UTC
Permalink
On Tue, 5 Aug 2014 11:35:55 +0200, "Davide Pioggia"
Post by Davide Pioggia
Post by Valerio Vanni
Così come tra "patto" e "pazzo": sento la /ts/ appena più avanti (o
orse è solo una pressione maggiore?).
Qui la faccenda è un po' più complicata. Nelle regioni settentrionali non
abbiamo una vera e propria affricata, ma pronunciamo piuttosto la seguenza.
Io, ad esempio, pronuncio la sequenza, con l'unica particolarità che la
seconda non è una vera e propria [s], ma una [th] (non è solcata). Quindi
l'attacco per me è certamente lo stesso.
Dove si può trovare un audio con questa sequenza?
Io in Romagna trovo molto frequentemente il suono non affricato, ma
una sequenza come l'inglese "it's" con una /t/ seguita da una /s/ (o
da un /th/) non mi pare di sentirla.
Post by Davide Pioggia
Ma anche per te dubito che ci sia veramente una differenza nella posizione
dell'attacco.
Io parlo della fase non rilasciata, provo a fermarmi tra una sillaba e
l'altra e guardo dov'è la lingua.
La fase di rilascio (/ts/) mi pare anch'essa più avanzata di /t/, ma
anche questa valutazione può dipendere dalla maggior spinta lingua ->
palato /denti necessaria all'esplosione dell'affricata.

Guardandomi allo specchio vedo anche un diverso atteggiamento dei
muscoli del volto (più rilassato per /t/).
Post by Davide Pioggia
Il fatto centrale della questione è che un'affricata non è una sequenza.
Diciamo che è una sequenza molto rapida, il suono ha comunque due
fasi.
Post by Davide Pioggia
Io,
che non riesco a pronunciare l'affricata [ts], sento bene la differenza,
perché i toscani e i romani pronunciano "una sola consonante" dove io
pronuncio la sequenza. Per cui mi fa specie sentire un toscano o un romano
sostenere che egli pronuncia [ts] cominciando col pronunciare una [t].
E' che nella fase non rilasciata (quella in coda alla prima sillaba),
la /t/ pare la cosa più simile.
Non è che uno pensi a pronunciare una /t/.
--
Ci sono 10 tipi di persone al mondo: quelle che capiscono il sistema binario
e quelle che non lo capiscono.
Davide Pioggia
2014-08-06 02:59:39 UTC
Permalink
Post by Valerio Vanni
Dove si può trovare un audio con questa sequenza?
Bisogna vedersi, parlarne a lungo, discuterne animatamente :-)
Post by Valerio Vanni
Io in Romagna trovo molto frequentemente il suono non affricato...
Uhm.... :-)

Si sente la "t". Non si deve sentire la "t". Tu quando dici «ciao» senti
forse una "t" iniziale? Non la senti, perché quella è una vera affricata. Se
mi dici che in Romagna senti una vera e propria "z" , mi viene un dubbio
sulla tua "z" :-)
Post by Valerio Vanni
ma una sequenza come l'inglese "it's" con una /t/ seguita da una /s/ (o
da un /th/) non mi pare di sentirla.
Ma no, ma non è mica una cosa come l'inglese "it's".
Solo che si sente la "t", e non si dovrebbe sentire.

Quanto a "th", dovrei farti sentire come la pronuncio quando la dico senza
l'occlusione iniziale, perché la tipica "z" dei dialetti romagnoli è molto
simile a "th" (costrittiva, non solcata). Poi per parlare italiano ci metto
una "t" davanti, ma "si sente", non si amalgama del tutto come nella "c" di
«ciao».
Post by Valerio Vanni
Diciamo che è una sequenza molto rapida, il suono ha comunque due
fasi.
Ascolta bene la "c" di «ciao», e dimmi se senti la "t" iniziale.
Post by Valerio Vanni
E' che nella fase non rilasciata (quella in coda alla prima sillaba),
la /t/ pare la cosa più simile.
Non è che uno pensi a pronunciare una /t/.
Qui c'è un problema di fondo. Per noi quelli dell'Italia centrale non sono
capaci di pronunciare le parole che finiscono con una consonante. Un toscano
normalmente non sa dire «tut», ma dice comunque «tutt@». Se gli chiedo quali
sono le sillaba di «tutta», mi risponde che la prima sillaba è «tutt@», e a
questo punto lo credo che non resta niente per la seconda sillaba! Se tu
dici veramente «tut», la "t" finale è quasi tutta "contenuta" nella
coarticolazione con la vocale precedente. Non c'è un rilascio come quello
che si sente quando dici «ta». Se pronunci quel rilascio lì, poi ci scappa
anche la schwa, e allora stai dicendo «tutt@». Quindi quando senti il
rilascio, stai già pronunciando la seconda sillaba, che è «ta». E la coda
della prima sillaba è quella sorta di "silenzio coarticolato" (facciamo a
capirci, eh!?) che senti prima del rilascio.
--
Saluti.
D.
Valerio Vanni
2014-08-04 23:54:07 UTC
Permalink
On Wed, 30 Jul 2014 13:54:16 +0200, "Davide Pioggia"
Post by Davide Pioggia
Nell'italiano delle regioni centrali (o meglio in quello standard) è del
tutto normale che una consonante, quando si trova in un certi contesti
http://venus.unive.it/canipa/pdf/HPr_03_Italian.pdf
a pag. 147, nella _Modern neutral pronunciation_ trovi, ad esempio,
['dZor:no, 'fOr:te, al:tro, in'nan:tsi] eccetera. Questo vale anche per le
consonanti geminate, nel senso che la prima è allugata: [man'tEl:lo].
Intendendo un allungamento di che entità?
Un raddoppio?

A volte ho visto marcare gli allungamenti con il puntino basso, col
significato di semicrono (un allungamento della metà).
Si totalizzerebbe una durata totale di 2,5 (o di 1,5 se segue un'altra
consonante).
--
Ci sono 10 tipi di persone al mondo: quelle che capiscono il sistema binario
e quelle che non lo capiscono.
Klaram
2014-07-30 15:50:44 UTC
Permalink
Post by Maurizio Pistone
Post by Davide Pioggia
Ma in "vëdd-la" non senti alcun rafforzamento della /d/ prima della /l/?
mi somiglia di sì, ma si tratta di un suffisso
Io non lo sento.

Se lo paragono a ven-la (viene?), bat-la (batte?), cat-la (compra?)
ecc. mi sembra che le lunghezze siano uguali.
Come se non ci fosse differenza tra vëdd-la e vëd-la.

k
Maurizio Pistone
2014-07-30 19:53:33 UTC
Permalink
Post by Klaram
Post by Maurizio Pistone
mi somiglia di sì, ma si tratta di un suffisso
Io non lo sento.
Se lo paragono a ven-la (viene?), bat-la (batte?), cat-la (compra?)
ecc. mi sembra che le lunghezze siano uguali.
Come se non ci fosse differenza tra vëdd-la e vëd-la.
è vero, la nostra percezione è molto soggettiva, dato che non c'è
opposizione tra vëdde e *vëde
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it
Davide Pioggia
2014-07-30 21:09:55 UTC
Permalink
Post by Maurizio Pistone
è vero, la nostra percezione è molto soggettiva, dato che non c'è
opposizione tra vëdde e *vëde
Può darsi che l'opposizione ci fosse un tempo, e si sia poi neutralizzata.
Questo spiegherebbe la grafia tradizionale.
--
Saluti.
D.
Klaram
2014-07-31 15:45:51 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Maurizio Pistone
è vero, la nostra percezione è molto soggettiva, dato che non c'è
opposizione tra vëdde e *vëde
Può darsi che l'opposizione ci fosse un tempo, e si sia poi neutralizzata.
Questo spiegherebbe la grafia tradizionale.
Cercando nei libri che ho qui, ho trovato dei testi di Tavio Cosio,
che con l'Autelli è uno dei maggiori prosatori piemontesi del
Novecento, mi ha colpito come scrive alcune parole con la swha (ë),
tipiche della sua zona (Villafalletto CN).

Per esempio:

'mbrochëtavo, dove io scriverei 'mbrochëttavo (inchiodavano con
bròche, un tipo particolare di chiodi);

tirëtin, noi e i torinesi diremmo tirétin;

crëpé, crepare, da noi crépé;

gëmiss, gemiti;

sëmolin, semolino, da noi sémolin;

nëgossiant, negoziante, da noi négossiant; ecc.

Cioé son parole in cui la é diventa localmente ë, e Cosio, che è
competente e molto attento alla grafia, scrive senza il raddoppiamento
della consonante che segue.
Naturalmente, le altre parole come vëdde, fiëtta, fëtta ecc. le scrive
col raddoppiamento.

k
Maurizio Pistone
2014-07-31 15:53:35 UTC
Permalink
Post by Klaram
Cercando nei libri che ho qui, ho trovato dei testi di Tavio Cosio,
che con l'Autelli è uno dei maggiori prosatori piemontesi del
Novecento, mi ha colpito come scrive alcune parole con la swha (ë),
tipiche della sua zona (Villafalletto CN).
'mbrochëtavo, dove io scriverei 'mbrochëttavo (inchiodavano con
bròche, un tipo particolare di chiodi);
tirëtin, noi e i torinesi diremmo tirétin;
crëpé, crepare, da noi crépé;
gëmiss, gemiti;
sëmolin, semolino, da noi sémolin;
nëgossiant, negoziante, da noi négossiant; ecc.
Cioé son parole in cui la é diventa localmente ë, e Cosio, che è
competente e molto attento alla grafia, scrive senza il raddoppiamento
della consonante che segue.
Naturalmente, le altre parole come vëdde, fiëtta, fëtta ecc. le scrive
col raddoppiamento.
credo che ci sia differenza tra una ë non accentata, come crëpé (io
direi chërpé), e una ë accentata, come in vëdde
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it
Klaram
2014-07-31 16:21:28 UTC
Permalink
Post by Maurizio Pistone
Post by Klaram
Cercando nei libri che ho qui, ho trovato dei testi di Tavio Cosio,
che con l'Autelli è uno dei maggiori prosatori piemontesi del
Novecento, mi ha colpito come scrive alcune parole con la swha (ë),
tipiche della sua zona (Villafalletto CN).
'mbrochëtavo, dove io scriverei 'mbrochëttavo (inchiodavano con
bròche, un tipo particolare di chiodi);
tirëtin, noi e i torinesi diremmo tirétin;
crëpé, crepare, da noi crépé;
gëmiss, gemiti;
sëmolin, semolino, da noi sémolin;
nëgossiant, negoziante, da noi négossiant; ecc.
Cioé son parole in cui la é diventa localmente ë, e Cosio, che è
competente e molto attento alla grafia, scrive senza il raddoppiamento
della consonante che segue.
Naturalmente, le altre parole come vëdde, fiëtta, fëtta ecc. le scrive
col raddoppiamento.
credo che ci sia differenza tra una ë non accentata, come crëpé (io
direi chërpé), e una ë accentata, come in vëdde
Ah, è vero, cambiando la é in ë, quest'ultima non è più accentata.

Anch'io dico chërpé.

k
Dragonòt
2014-07-31 20:17:01 UTC
Permalink
Post by Klaram
Post by Maurizio Pistone
Post by Klaram
Cioé son parole in cui la é diventa localmente ë, e Cosio, che è
competente e molto attento alla grafia, scrive senza il raddoppiamento
della consonante che segue.
Naturalmente, le altre parole come vëdde, fiëtta, fëtta ecc. le scrive
col raddoppiamento.
credo che ci sia differenza tra una ë non accentata, come crëpé (io
direi chërpé), e una ë accentata, come in vëdde
Ah, è vero, cambiando la é in ë, quest'ultima non è più accentata.
Anch'io dico chërpé.
Legandosi al discorso di Tavio Còsio, segnalo che sulla Wiki-PMS è stato
scritto fin dall'inizio "Brëtagna", e nessuno ha mai segnalato
l'incongruenza.
Bepe
Klaram
2014-08-01 11:56:42 UTC
Permalink
Post by Dragonòt
Legandosi al discorso di Tavio Còsio, segnalo che sulla Wiki-PMS è stato
scritto fin dall'inizio "Brëtagna", e nessuno ha mai segnalato
l'incongruenza.
Noi diremmo Brétagna (con la seconda a scura).

Devo approfondire, ma ho l'impressione che, oltre a problemi di dove
cada l'accento tonico, ci siano delle zone in cui pronunciano la swha
(anche tonica) senza raddoppiamento, e che Còsio abbia voluto proprio
rappresentare graficamente tale pronuncia.

Un esempio tra i tanti, lui scrive sëmolin e io ho detto che in
torinese si dice sémolin, però sono ricordata che mia nonna diceva
sëmmorin, con la r debole e con raddoppiamento.
Cioè, quando noi trasformiamo le é in ë abbiamo sempre il
raddoppiamento, come in koiné, mentre ci sono varianti locali che non
sempre lo fanno

k
Klaram
2014-07-30 15:52:39 UTC
Permalink
Post by Dragonòt
A me sembra di no, ma non so se sono un buon giudice.
Ho provato allo specchio, a dire "m'i cardo" (verbo cardare) e "m'i chërdo",
e non mi sembra ci sia differenza nella durata della "r", né nella sua
vibrazione. L'unica differenza è l'apertura delle labbra.
Anche secondo me.

La maggiore lunghezza si sente solo con le consonanti semplici.

k
Davide Pioggia
2014-07-30 16:04:56 UTC
Permalink
Post by Klaram
Anche secondo me.
È possibile che da voi l'allugamento si sia perso del tutto. Anche in alcune
zone della Romagna ormai siamo al limite della neutralizzazione. Però, se
ben ricordo, tempo fa dicevi che gli autori di una certa zona scrivono "ggn"
dopo le vocali brevi. Non sei stata tu a dirmi questa cosa?
--
Saluti.
D.
Klaram
2014-07-30 16:35:13 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Klaram
Anche secondo me.
È possibile che da voi l'allugamento si sia perso del tutto. Anche in alcune
zone della Romagna ormai siamo al limite della neutralizzazione. Però, se
ben ricordo, tempo fa dicevi che gli autori di una certa zona scrivono "ggn"
dopo le vocali brevi. Non sei stata tu a dirmi questa cosa?
Sì, però adesso mi trovo in Alta Val Tanaro e quei testi lì li ho a
Cuneo. Li cercherò la prossima settimana.

Sono scrittori proprio di queste zone, che usano grafie particolari
per rendere suoni che sono tipici di qua.

k
Klaram
2014-07-30 16:38:09 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Klaram
Anche secondo me.
È possibile che da voi l'allugamento si sia perso del tutto. Anche in alcune
zone della Romagna ormai siamo al limite della neutralizzazione. Però, se
ben ricordo, tempo fa dicevi che gli autori di una certa zona scrivono "ggn"
dopo le vocali brevi. Non sei stata tu a dirmi questa cosa?
Sì, però adesso mi trovo in Alta Val Tanaro e quei testi lì li ho a Cuneo.
Li cercherò la prossima settimana.
Sono scrittori proprio di queste zone, che usano grafie particolari per
rendere suoni che sono tipici di qua.
Aggiungo che i dialetti sono una mescolanza di piemontese e di ligure,
e questi allungamenti sono più del ligure che del piemontese.

k
Davide Pioggia
2014-07-30 21:03:18 UTC
Permalink
Post by Klaram
Sì, però adesso mi trovo in Alta Val Tanaro e quei testi lì li ho a
Cuneo. Li cercherò la prossima settimana.
Mi faresti una grossa cortesia.
Post by Klaram
Aggiungo che i dialetti sono una mescolanza di piemontese e di ligure,
e questi allungamenti sono più del ligure che del piemontese.
Visto che tu hai dimestichezza col ligure, quando vedi quelle grafie
riesci a farti un'idea di quale sia la ragione per cui quegli autori sentono
il bisogno di scrivere così, oppure per te è un mistero?

(Non te lo chiedo per verificare le tue capacità di analisi fonetica, ma
solo per capire se sono caratteristiche diffuse nei dialetti liguri e se
quella grafia corrisponde alla sensibilità comune dei parlanti).

Ciao, e grazie!
D.
Klaram
2014-07-31 16:14:42 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Visto che tu hai dimestichezza col ligure, quando vedi quelle grafie
riesci a farti un'idea di quale sia la ragione per cui quegli autori sentono
il bisogno di scrivere così, oppure per te è un mistero?
La pronuncia di queste grafie mi è chiara. Cercherò di chiarire, se
sarò in grado, con i testi sottomano.

k
Klaram
2014-08-04 16:29:42 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Klaram
Anche secondo me.
È possibile che da voi l'allugamento si sia perso del tutto. Anche in alcune
zone della Romagna ormai siamo al limite della neutralizzazione. Però, se
ben ricordo, tempo fa dicevi che gli autori di una certa zona scrivono "ggn"
dopo le vocali brevi. Non sei stata tu a dirmi questa cosa?
Sono sicura di averlo visto, ma sul libro dove credevo che fosse (di
Toso sui dialetti dell'entroterra ligure) non l'ho trovato. Cercherò
ancora su altri testi.

In compenso ce ne sono molti esempi in questo romanesco. :-)

http://it.wikisource.org/wiki/Sonetti_romaneschi/II/La_frebbe

Quando abbiamo parlato del raddoppiamento dopo la ë piemontese, che in
koiné c'è sempre con le consonanti semplici, avevo detto che non lo
sentivo con le consonanti doppie, come tërsa, crësta ecc. invece mi
sembra più evidente proprio con la gn.

Ad esempio, in g/u/rëgna (coriacea) lo sento bene e chiedo se lo
sentono anche gli altri parlanti piemontese.

Un conto è g/u/regna sempio, un altro è gurëgna, dove si sente bene la
doppia gn, e la grafia gorëggna, renderebbe meglio il suono.

Un altro esempio, è "a Compagna", un'antica istituzione ligure. I
liguri la pronunciano così come è scritta, ma a me, in dialetto
genovese, verrebbe di dirla doppia: "a Compaggna".
Anche perché non è la compagna di banco, ma penso che derivi da
"compagnia" con caduta della i.

k
Davide Pioggia
2014-08-04 17:18:04 UTC
Permalink
Post by Klaram
Sono sicura di averlo visto, ma sul libro dove credevo che fosse (di
Toso sui dialetti dell'entroterra ligure) non l'ho trovato. Cercherò
ancora su altri testi.
Grazie, ma non vorrei farti impazzire. Se non li trovi lascia perdere.
Post by Klaram
In compenso ce ne sono molti esempi in questo romanesco. :-)
Ah, sì, quelli sono famosi.

Anch'io a volte scrivo il volgare latino in quel modo, soprattutto nei testi
divulgativi destinati a lettori settentrionali. Lo faccio per far vedere che
davanti a (G)GN si ha l'esito tipico di sillaba chiusa; perché nel volgare
GN
era geminata, anche nelle regioni settentrionali. Ad esempio nei dialetti
romagnoli da GATTO s'è avuto "gat" (la A davanti a geminata si conserva,
mentre davanti a scempia no) e anche da BA(G)GNO s'è avuto "bagn".
Se il volgare lo scrivo BAGNO mi tocca spiegare tutte le volte che
bisogna pronunciarlo "alla toscana".
Post by Klaram
Un conto è g/u/regna sempio, un altro è gurëgna, dove si sente bene la
doppia gn, e la grafia gorëggna, renderebbe meglio il suono.
Quindi direi che la differenza la senti bene anche tu.

Ciao, e grazzzie! :-)
D.
Dragonòt
2014-07-29 15:57:18 UTC
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Post by Davide Pioggia
Conoscete qualche autore settentrionale che adotta soluzioni grafiche come
queste?


Claudio Beretta, del Filologico di Milano, diceva che gran parte delle
doppie che si trovano nel Dizionario del Cherubini volevano solo indicare
che la vocale precedente era breve.
Ciao,
Bepe
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